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RICORSO AL TAR

RICORSO AL TAR
UDIENZA PRESSO IL TAR dell' EMILIA ROMAGNA FISSATA PER IL GIORNO 12.05.2005

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l'Enoteca Alto Tasso con 16 negozianti Bengalesi notifica il ricorso al tar per l'annullamento dell'ordinanza sul divieto dell'alcol d'asporto dopo le ore 21,00 nel centro storico di Bologna

IL TESTO DEL RICORSO

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L’ EMILIA ROMAGNA SEDE DI BOLOGNA
RICORSO PER ANNULLAMENTO PREVIA SOSPENSIVA
CON ISTANZA AL PRESIDENTE EX ART. 21, comma IX L. N. 1034/1971
***
La Minima Moralia s.r.l., P.IVA 01540880679, corrente in Piazza San Francesco n. 6D, Bologna, in persona dei legali rappresentati Roberto Farina, Nicoletta De Iulis, Maurizio Rossi,
-Nua Mini Market s.n.c. in persona del rappresentante legale Sikder Jamal, C.F. SKDJML74E25Z249L corrente in via Don MInzoni 4/A, Bologna;
-Sho Desh Alimentari S.n.c., in persona del legale rappresentante Rabiul Islam, P.IVA 02415361209, corrente in Via S. Vitale 122/C, Bologna;
-Sobuz Bangla s.n.c. in persona del legale rappresentante Aminu Rahman, P.IVA02284821200, corrente in via S. Vitale 79/A, Bologna;
-Global Alimentari s.n.c. in persona del legale rappresentante Siodique Kamruzzaman, P.I.V.A. 02423741202 corrente in Via Petroni 36, Bologna;
-Settepiù s.n.c. in persona del legale rappresentante Nahin Dhil P.I.V.A. 02378011205 corrente in via Delle Moline 5/A, Bologna;
nonché quali titolari delle rispettive ditte individuali i Sig.ri:
-Mojumder Roman, C.F. MYMRMN66B03Z249U , corrente in via Petroni 15/B
-Sikder Neyamat, P.IVA 02163891209, corrente in via Oberdan 47, Bologna;
-Zahirul Hoque, P.I.V.A. 02480361209, corrente in via Piana 2, Bologna;
-Sheikh Monir Hossain, P.IV.A. 02424591200, corrente in via Marsala 18/A, Bologna;
-Aziz Hossain, P.IV.A. 02295501205, corrente in via Petroni 25/A, Bologna;
-Mahmood Sohel, P.I.V.A. 02403491208, corrente in via Petroni 31/A, Bologna;
-Khan Khurshed Alam, P.I.V.A.02395571207, corrente in via Delle Moline 12/B, Bologna;
-Md Rafiqul Islam, corrente in Via San Vitale 124, Bologna;
-Asaduzzaman Moamed,
-Manur Mik
-Ashraf Ali
ai fini del presente procedimento rappresentati e difesi dagli Avv.ti Marco Ferrari e Maria Chiara Bollini presso il cui Studio sito in Corte Isolani n. 2, Bologna, eleggono domicilio giusta delega in calce al presente atto
RICORRONO
Contro l’Ordinanza Sindacale Continginbile ed Urgente n. 63331/2005 (d’ora in poi anche “l’ordinanza”) adottata dal Sindaco di Bologna il 23 marzo 2005 ed in vigore dalle 21.00 del 7 aprile 2005 fino alle 06.00 del 30 novembre 2005.
Per chiederne, previa accogliemento dell’istanza all’Ill.mo Sig. Presidente ex art. 21, comma 9 L. n. 1034/71 e previa sospensiva,
L’ANNULLAMENTO
In quanto illegittima per i seguenti
MOTIVI
I Ricorrenti sono tutti titolari di esercizi commericiali su aree private e/o pubbliche e/o di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e/o laboratori artigianali, aventi tutti la sede della propria attività nel centro storico di Bologna (come da documentazione che si produce, doc. 1), e come tali diretti destinatari delle prescrizioni del provvedimento impugnato. In un caso, Minima Moralia s.r.l., addirittura la vendita per l’asporto di vino e birre selezionate rappresenta la principale forma di attività e correlativamente di entrata economica e previsione di fatturato, trattandosi di Enoteca. Il pregiudizio per la ricorrente è dunque evidente. A ciò si aggiunga che la stessa, ora giuridicamente qualificabile come “esercizio di vicinato” in base autorizzazione sanitaria con N. prot. 46045/04 ed avendo in previsione la prosecuzione della propria attità - sempre con la medisima ditta “AltoTasso” - come “pubblico esercizio di alimenti e bevande”, in virtù di licenza rilasciata dal Comune di Bologna il 01.12.2004 PG. 249238 (doc. 2), aveva già pianificato opere di adeguamento per la relativa autorizzazione sanitaria ad enoteca con somministrazione, con un preventivo di spesa per € 45.000,00, ed ora in diretta conseguenza dell’ordinanza che si impugna, è costretta ad affrontare un’improvviso e rempentino calo di fatturato, con intuibili potenziali conseguenze sullo sviluppo della propria attività imprenditoriale. Tutti gli altri ricorrenti sono titolari di attività di vendita di generi alimentari di varia appartenenza merceologica, sostanze alcoliche comprese. Si tratta di quegli esercizi, da tempo sempre più diffusi nel tessuto urbano del centro storico specialmente, nella maggioranza gestiti da cittadini extracomunitari, i quali si caratterizzano per un orario di apertura particolarmente ampio (normalmente dalle sette del mattino alla mezzanotte) al fine precipuo di attirare una clientela il più possibile diversificata, ciò per ridurre al minimo il rischio dell’invenduto ed ottimizzare il profitto proveniente dai diversi tipi di generi alimentari (sostanze alcoliche comprese) offerti, secondo una peraltro legittima aspirazione di ogni imprenditore non certo priva di rilievo costituzionale. In questo contesto la fascia oraria successiva alle 21,00 rappresenta, con riguardo alla categoria merceologica delle sostanze alcoliche una importante voce di fatturato, la quale una volta venuta meno può comportare addirittura lo “snaturamento” dell’impronta imprenditoriale che i ricorrenti hanno deciso di dare alla propria attività, in una sempre legittima aspettativa di distinzione ed originalità rispetto alle altre attività di vendita di prodotti alimentari, notoriamente caratterizzate da orari di apertura al pubblico più rigidi e in quindi non in grado si soddisfare una significativa quota di domanda alla quale invece i ricorrenti garantiscono offerta. Non ci si può esimere, in ultimo, dall’osservare che il sopra accennato fenomeno commerciale appare strettamente correllato, anche sotto il profilo della provenienza geografica dei titolari, ad una forma di immigrazione completamente diversa, in senso positivo, da quella quotidianamente rappresentata anche nei media (fino al punto ormai di costituire allarmante e triste patrimonio dell’immaginario collettivo) e rispetto alla quale il provvedimento che si impugna, sotto il profilo degli effetti concreti prodotti, finisce per l’assumere – lo si conceda - i connotati di un improvviso novello “dazio”, imposto ad imprenditori e lavoratori stranieri i quali, dopo aver già superato le profonde e note restrizioni della normativa italiana sull’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello stato, vedono le proprie attività arbitrariamente considerate “tutto sommato sacrificabili”, sotto il profilo delle restrizioni al libero esercizio.
A tali considerazioni segue, l’evidente lesività per le posizioni giuridiche ed economiche dei ricorrenti a opera dell’ordinanza che si impugna per i motivi di cui in proseguo.
a) Eccesso di potere
L’art. 54 comma II del D.lgs. n. 267/2000, riconosce al Sindaco la competenza ad adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini. Ai sensi di tale norma il Sindaco di Bologna “rilevato che nel centro storico…si registra l’eccessivo consumo di bevande alcoliche da parte di giovani, anche minorenni, che porta all’inevitabile conseguenza del manifestarsi di schiamazzi, in particolare nelle ore notturne, tali da turbare la quiete pubblica ed è accompagnato dall’abbandono, dopo l’uso, in strade, porticati e piazze di contenitori di bevande alcoliche”, ha ritenuto che tali presunti fenomeni, valutati quali gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini, possano essere prevenuti od eliminati vietando, nel periodo dal 07.04.2005 al 30.11.2005, “la vendita per l’asporto di bevande alcoliche di qualunque gradazione ed in qualsiasi contenitore, di vetro e non, da parte di esercizi commerciali su aree private e pubbliche, laboratori artigianali ed esercizi di somministrazione di alimenti e bevande nella fascia oraria dalle ore 21,00 alle ore 06,00 del giorno successivo… nel centro storico, zona del territorio comunale compresa entro i viali di circonvallazione, così come previsto dall’art. 50 delle Norme di Attuazione (N.d.A.) del vigente Piano Regolatore Generale (P.R.G.)….” (art. 1 ordinanza).Dall’ambito di applicazione soggettiva sono esclusi solo quegli esercizi che “… effettuino servizio a domicilio del cliente… (art. 2)”.A sanzione, del prescritto divieto, il medesimo provvedimento prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da € 25 ad € 500 per gli esercenti trasgressori nonché, ai sensi del richiamato art. 25 del vigente regolamento di polizia urbana, la sospensione da tre a quindici giorni dell’attività, qualora allo stesso esercente vengano contestate due violazioni (Artt. 3,4.).
E’ opinione degli scriventi legali, che già tali brevissime deduzioni rendano palesi i vizi del provvedimento che si impugna per sviamento di potere, illogicità, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione, disparità di trattamento, in quanto come già autorevolmente sostenuto dal Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, nella sentenza del 26.10.2004 (doc. 3) sul ricorso n. 5827/04 proposto avverso l’analoga ordinanza del Sindaco di Roma n. 4 del 20.04.2004, “…le misure adottate, ove rivolte a reprimere il fenomeno diffuso dell’abbandono di bottiglie e contenitori di bevande nelle strade appaiono incongrue ed illogiche e denotano…l’atteggiamento tipico di molte amministrazioni che, incapaci di gestire l’ordinario (predisponendo un adeguato servizio di raccolta di rifiuti e aumentando in via preventiva la vigilanza per impedirne l’abbandono), ricorrono al più comodo utilizzo di mezzi repressivi che l’ordinamento riserva ad evenienze straordinarie”.
Più precisamente l’amministrazione comunale dando per presupposto – senza fornire evidenze empiriche suffraganti - e un potenziale problema di ordine pubblico e un problema tecnicamente di nettezza urbana, nonché un tanto presunto, quanto distante dalla realtà e retoricamente richiamato, problema sociale di diffusione dell’alcol tra “i giovani, anche minorenni”, anziché dare applicazione, innanzi tutto e per quanto di propria competenza, alle già vigenti prescrizioni volte a sanzionare la condotta di chi abbandona “rifiuti” nelle pubbliche vie, piazze e porticati, giusta quanto previsto, tra gli altri, dagli artt. 41 e ss. del vigente regolamento comunale per la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati, nonché giusta quanto previsto dal art. 50 del D.lgs. n. 22/1997, o di chi sosta per pubbliche strade o piazze arrecando molestia alla quiete pubblica, in concorso con le altre amministrazioni implicate, “scarica” letteralmente responsabilità proprie (nonché delle altre competenti autorità preposte alla prevenzione e repressione delle eventuali condotte penalmente rilevanti) e di terzi trasgressori, su soggetti che, in regime di piena autorizzazione, esercitano un’attività commerciale in alcun modo identificabile quale causa dei presunti problemi di ordine pubblico e nettezza urbana, nonché men che meno dei presunti problemi sociali di diffusione dell’alcolismo, laddove al contrario il D.lgs. n. 22/1997 individua l’organizzazione del servizio di raccolta degli imballaggi primari (bottiglie) quale preciso obbligo dei comuni, obbligo cui si correla il potere/dovere sanzionatorio per le condotte violative delle prescrizioni in materia di igiene urbana. Appare evidente come, per questa via, viene ad essere esercitato un potere per fini diversi da quelli stabiliti dal legislatore con la norma attributiva dello stesso. Infatti, sempre seguendo il precedente su citato, tali misure “…invece di colpire i comportamenti non consoni tenuti dai frequentatori…” del centro storico di Bologna nelle ore notturne (aggiungiamo Noi) “…mirano a stroncare il fenomeno alla radice (come dire che per eliminare il fenomeno delle rapine alle tabaccherie è sufficiente chiudere tutte le tabaccherie)…” in maniera del tutto illogica ed irrazionale.
Non vi è chi non veda, infatti, come il potere straordinario previsto dall’art. 54 comma II del D.lgs. n. 267/2000, presuppone per il suo corretto esercizio concrete ragioni di imminente pericolo che, se ravvisabili in circostanze ben determinate, non possono esserlo allorché queste siano anche il risultato della inefficienza dell’amministrazione locale, e delle altre interessate, a fare fronte ai propri compiti istituzionali. In merito ovvero per l’aspetto, tutt’altro secondario, relativo al potere/dovere dell’amministrazione locale (di cui all’art. 41 del regolamento comunale per la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati) di sanzionare i comportamenti violativi, tra le altre, delle prescrizioni in materia di igiene urbana e conferimento di rifiuti negli appositi contenitori, si osserva, a mo di esempio, che sulla base dei dati statistici disponibili relativi agli anni 2000 e 2001 (fonte ISTAT, docc. 4, 5) il dato relativo alle sanzioni comminate per violazioni delle norme sull’igiene urbana è quanto meno sconcertante, in negativo. Trattasi, infatti, per l’anno 2000, di 2,1 sanzioni per scorretto inserimento di rifiuti negli appositi contenitori ogni 100.000 abitanti. Non più confortante è il dato per il 2001, consistente in 270 sanzioni per scorretto inserimento dei rifiuti negli appositi contenitori, sempre ogni 100.000 abitanti. Per gli anni successivi, allo stato, non sembrano disponibili dati statistici attendibili in virtù della disomogeneità dei criteri di imputazione delle violazioni, utilizzati dai diversi soggetti cui ne è devoluto l’accertamento, questo secondo le informazioni raccolte presso il Settore Programmazione, Controlli e Statistica del Comune di Bologna.
Soccorre in merito anche la confortante giurisprudenza per cui i presupposti del potere sindacale di cui all’art. 54 D.lgs. n. 267/2000 sono “…oltre al pericolo di un danno imminente alla pubblica incolumità, anche l’impossibilità di fronteggiare lo stato di pericolo con i normali mezzi apprestati dall’ordinamento…” ed ancora “… se l’art. 54 del d. lgs n. 267/2000 ha determinato un allargamento della sfera di azione dei provvedimenti contingibili e urgenti del Sindaco, quale ufficiale di governo, non contenendo più l’elencazione delle materie in cui questi possono essere adottati, resta il fatto però che il potere rimane pur sempre di carattere eccezionale e va esercitato ove sia ravvisabile l’impossibilità di ricorrere agli ordinari rimedi apprestati dall’ordinamento, soltanto al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini e il provvedimento deve essere congruamente motivato…” (TAR Toscana III sez, sent. N. 803 del 19 aprile 2002).
A ciò si aggiunga, con le parole del TAR per la regione Lazio, il rilievo per cui “…l’amministrazione adotta alcune misure, ritenute idonee a fronteggiare dei comportamenti non consoni tenuti dai frequentatori delle aree di pregio nel ore notturne. Di contro, l’amministrazione non ritiene necessario adottare misure idonee a fronteggiare il fenomeno dei comportamenti non consoni tenuti dai frequentatori delle aree di pregio che nelle ore diurne abbandonano oggetti quali, bottiglie, lattine e contenutori vari. Evidentemente nelle ore diurne è in funzione un servizio adeguato di prevenzione (cestini, cassonetti, intervento delgi addetti alla pulizia urbana) nonchè di repressione da parte degli organi di vigilanza…l’amministrazione non ritiene … predisporre anche nelle ore notturne un adeguato servizio di prevenzione e repressione…” ritenendo sicuramente più comodo, lo si conceda, l’escamotage di gravare gli esercenti interessati sia del controllo della condotta dei privati cittadini propri clienti (inaccettabile sia sotto il profilo dei costi economici che vengono ad imporsi sui titolari delle attività interessate, sia sotto il profilo della rinuncia di fatto dell’amministrazione ad agire in adempimento di un proprio dovere istituzionale) sia delle sanzioni volte a contrastare fenomeni di degrado/devianza legati a condotte imputabili esclusivamente alla propria clientela!
Allo stesso tempo l’illogicità della motivazione a premessa del provvedimento, appare lampante laddove con completo disinteresse per la condotta di chi realmente è causa di abbandono di rifiuti o fonte di “schiamazzi”, non solo accomuna in una virtuale, unica ed indistinta categoria di “disturbatori ed inquinatori” tutti i frequentatori del centro storico di Bologna (e quindi anche coloro che correttamente collocano i rifiuti negli appositi contenitori e si astengono dall’arrecare molestia alla quiete pubblica), ma addirittura i titolari di attività commerciali, che finiscono così per vedere gravemente limitata la propria attività imprenditoriale senza un ragionevole contemperamanto tra i diversi interessi coinvolti, molti dei quali dotati di rilevanza costituzionale, nonché compromessa la propria immagine di imprenditori additati sui media locali quali causa prima del c.d. degrado urbano. Quest’ultimo rilievo induce ad osservare che l’amministrazione locale, pur di ovviare a proprie incapacità organizzative a frontenggiare situazioni di devianza, si spinge fino non considerare il valore economico che le attività interessate rappresentano. Allo stato è ampiamente prevedibile che oltre all’immediata perdita economica per i titolari degli esercizi, si produrrano a breve anche immediate ricadute occupazionali, non potendo le attività commerciali implicate, a fronte di un sensibile calo di fatturato, mantenere l’attuale tasso occupazionale. Non di minor rilievo è il dato per cui l’ambito territoriale di applicazione dell’ordinanza, ben lungi dall’essere limitato a quelle aree caraterizzate dalla presenza “…di edifici e monumenti sottoposti alla tutela della Sovraintendenza per i Beni Architettonici e per il paesaggio dell’Emilia Romagna…”, (rispetto alle quali, illogicamente, continua ad essere al contrario consentito l’accesso a chi porti seco non solo bevande alcoliche ed i relativi contenitori, ma qualsiasi altro oggetto od alimento idoneo a favorirne in via potenziale il deturpamento) comprende tutto il centro storico, come individuato, e quindi anche zone urbane di centro storico defilate, scarsamente illuminate o a ridotta frequentazione, ove al contrario per un dato di comune buon senso la presenza di persone, se incentivata, potrebbe costituire sì un efficace strumento di prevenzione verso la comissione di reati o fonti di pericolo a persone o cose. Diversamente l’ordinanza impugnata, oltre a porre seri limiti all’esercizio delle attività commerciali già presenti in queste ultime zone, ne disincentiva addirittuta la nuova intrapresa, poste le gravissime limitazioni al libero esercizio.
Altrettando illogica e contraddittoria, alla luce delle premesse dell’ordinanza, è la esclusione dall’ambito di applicazione, soggettivo ed oggettivo, degli esercizi che effettuano servizi di consegna al domicilio del cliente (art. 2, dell’ordinanza) senza distinguere tra domicilio di destinazione nel “centro storico” e domicilio al di fuori di esso, posto che nulla consente di escludere, a priori, che il cliente ricevuta presso il proprio domicilio la sostanza alcolica richiesta, si riversi successivamente per la strada a consumarla con potenziale successivo abbandono del relativo contenitore. Diversamente, a quello stesso cliente viene invece impedito dalle ore 21,00 di acquistare, nel medesimo centro storico indistintamente individuato, una qualsiasi sostanza alcolica anche se destinata al consumo presso il proprio od altrui domicilio. In questo modo viene altresì a concretizzarsi una evidente disparità di trattamento tra quegli esercizi che, per scelta imprenditoriale o sono già atrezzati per l’effettuazione di consegne a domicilio o sono nelle possibilità di affrotarne i costi, e quegli esercizi che per diversa scelta o per natura dell’attività esercitata o indisponibilità ad affrontare i costi economici di tale servizio, si vedono preclusa la vendita di qualsiasi sostanza alcolica. Ne cosegue che, mentre la consegna a domicilio, pur nel centro storico, deresponsabilizza e scrimina l’esercente per l’uso conseguente di quando venduto (se mai possa esservi alcuna giuridica correlazione tra il vendere una bevanda alcolica ed il successivo abbandono del relativo contenitore da parte di chi la consuma o successivi turbamenti alla quiete pubblica), al contrario invece la consegna nelle mani del cliente, nello stesso centro storico, non appare a tal fine sufficiente senza alcuna logica giustificazione, e non potrebbe essere diversamente. Evidente risulta altresì la disparità di trattamento rispetto a quegli esercizi commerciali che vedono collocata la loro sede al di fuori dell’ambito spaziale di applicazione dell’ordinanza vuoi per casualità, vuoi per scelta iniziale legata agli indubbi minori costi (locazioni degli immobili, ad esempio). Da ultimo, illogicità e contraddittorietà, nella condotta dell’amministrazione, sono ancora più manifeste se solo si considera che appena 19 giorni prima dell’adottata ordinanza (ovvero il 4 marzo 2005) questa stessa amministrazione comunale “ritenuto opportuno…modificare l’Ordinanza P.G. n. 262046/2004, recante il Testo coordinato di disciplina degli orari relativi alle attività di vendita al dettaglio (Doc. 6), dopo aver stabilito che “gli esercizini commericiali di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico dalle ore sette alle ore ventidue…non superando il limite delle tredici ore giornaliere…” (art. 1), nelle successive “Disposizioni particolari” eclude dall’ambito di applicazione, di tali vincoli di orario, tutto il “centro storico, ovvero tutto il territorio racchiuso entro i viali di circonvallazione”, cioè esattamente il territorio comunale ove ora impone pesanti restrizioni alla vendita di sostanze alcoliche, come se al 4 marzo 2005 gli obiettivi (illegittimamente) perseguiti dall’ordinanza che si impugna non fossero all’ordine del giorno. Sotto questo profilo è chiaro come l’amministrazione a soli 19 giorni di distanza abbia violato l’aspettativa ingenerata in tutti quei titolari di attività, quali sono i ricorrenti, di vendita al dettaglio, tra le altre, di sostanze alcoliche.
b) Violazione di legge
L’art. 54, comma II, D.lgs. n. 267/2000 riconosce al Sindaco la competenza ad adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini.
La genericità e fumosità delle motivazioni addotte, dall’amministrazione, a sostegno del provvedimento impugnato inducono a ritenere la sua emanazione illeggittima anche per difetto del presupposto di motivazione e mancata individuazione in concreto dei gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini.
Il generico riferimento ad un presunto eccessivo consumo di bevande alcoliche da parte di giovani, anche minorenni, al di là del suo contenuto meramente retorico oltre a non trovare alcun riscontro empirico, tanto meno può assurgere al rango di quel grave pericolo per l’incolumità pubblica che legittima l’esercizio del potere di cui all’art. 54, comma II, D.lgs. 267/2000, altrettanto deve ritenersi per l’abbandono da parte di singoli individui di contenitori di bevande alcoliche (che costituisce un vero e proprio problema di nettezza urbana) e per le condotte turbative della quiete pubblica, a presidio della quale sono poste precipue fattispescie penali.
In merito la giurisprudenza più volte e concordemente ha affermato come il potere sindacale di cui all’art. 54 d.lgs. n. 267/2000 sia “…un potere di cui il Sindaco è fatto attributario, che si fonda sulla esigenza di dare risposta immediata a situazioni assolutamente eccezionali e non prevedibili, e che deve altresì specificamente fondarsi, non già su generiche esigenze di sicurezza o di igiene o di tutela della salute pubblica, bensì sulla esistenza concreta di “gravi pericoli” incombenti, di dimensioni tali da costituire una concreta ed effettiva minaccia per la incolumità dei cittadini (tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2002 n. 1490; TAR Basilicata, 19 giugno 2001 n. 611; TAR Umbria, 18 settembre 2001 n. 469)…” (TAR Campania sede di Napoli sez. III, sent. N. 9431 del 14 giugno 2004).
In vero può osservarsi, ad abundantiam, come i dati sulla diffusione dell’alcol nel Comune di Bologna appaiono, per le categorie di soggetti indicate nella motivazione dell’ordinanza, di tutt’altro segno rispetto alle valutazioni dell’amministrazione (doc. 7, fonte Azienda Usl-SerT).
Come può agevolmente ricavarsi dalla tab. 1, i soggetti di età compresa tra i 15 ed i 19 anni di età presi in carico per problemi di alcolismo, in Bologna città, nel 2004 sono 2, rappresentando in termini percentuali, rispetto alla totalità dei soggetti in carico, l’0,5% (tab. 1bis). Altrettanto agevolmente può ricavarsi - dalle medesime tabelle 1 ed 1bis - come il numero dei soggetti presi incarico per alcolismo cresce visibilmente a partire dalla fascia di età compresa tra i 35 e 39 anni, con un picco massimo per la fascia di età di 40 anni e comunque un dato crescente fino alla fascia dei maggiori di anni 60, tipicamente utenti delle ore diurne. Più presisamente su un totale di 415 soggetti presi in carico, per alcolismo, si segnalano 46 casi per la fascia di età compresa tra i 15 ed i 34 anni, contro i 369 casi per la fascia di età tra i 35 anni ed i maggiori di anni 60.
Sempre a sostegno della non riscontrabilità, a livello empirico, del fenomeno assunto dall’amministrazione a premessa del proprio provvedimento, può osservarsi (tabelle 2 e 2bis ns. doc. 7) come anche i dati disaggregati per titolo di studio e situazione lavorativa non consentono di ritenere fondata una presunta diffusione, in termini di gravità ed allarme sociale, del consumo di sostanze alcoliche così come ritenuto dall’amministrazione.
La ricerca condotta dall’Azienda U.S.L. Città di Bologna su “Abuso di alcol e uso di sostanze stupefacenti tra i giovani che frequentano i locali pubblici della Provincia di Bologna” (doc. 8.), dopo un’approfondita ed articolata analisi, cui si rinvia, a pag. 20, con riferimento all’abuso di alcolici invidua, in maniera tendenziale, i locali della Provincia come quelli in cui tende a prevalere.
Alla luce di quanto esposto appare quanto meno ragionevole sostenere che la motivazione adotta, di eccessivo consumo di sostanze alcoliche tra giovani anche minorenni, non regga al confronto con i dati empirici e sia manifesta nella sua genericità.
Quanto poi “all’inevitabile manifestarsi di schiamazzi…tali da turbare la quiete pubblica…accompagnato dall’abbandono dopo l’uso in strade…di contenitori di bevande alcoliche…”che nell’impianto dell’ordinanza rappresenterebbero “…possibili pericoli per le persone che frequentano gli spazi pubblici cittadini ed hanno diritto a fruirne in condizioni di assoluta tranquillità e sicurezza…”, sfugge sinceramente in base a quali criteri vuoi condotte penalmente rilevanti (schiamazzi), vuoi amministrativamente sanzionate (abbandono di rifiuti), ma in ogni caso individuali, anziché essere adeguatamente represse con gli strumenti ordinari previsti, sono correlate in termini di causa ad effetto, tout court, all’esercizio di una attività economica - vendita per l’asporto di bevande alcoliche - per essere così elevate, nell’impunità individuale, a grave pericolo che minaccia l’incolumità dei cittadini ai sensi dell’art. 54 comma II D.lgs. n. 267/2000. Sfugge a dire il vero anche il reale contenuto dei termini “assoluta tranquillità e sicurezza” utilizzati dall’amministrazione, posto che tranquillità e sicurezza sono compiti primari di tutte le amministrazioni e le eventuali minacce a tali beni primari non possono ravvisarsi nella vendita per l’asporto di bevande alcoliche, invece che nella deviante condotta di singoli individui, a ciò si aggiunga che la stessa aggettivazione in termini di “assolutezza” sfugge ad ogni possibile ragionevole concretizzione. Sempre usando le parole del TAR per la Regione Lazio “…non si comprende in base a quale potere l’amministrazione pretende di incidere sul libero esercizio della somministrazione con asporto, che produce effetti negativi sulla posizione giuridica dei ricorrenti, nonché sulla libertà dei frequentatori … di usufruire della somministrazione di bevande per l’asporto…senza che siano adottate misure contro i frequentatori che imbrattano la città…”
Le argomentazioni sopra sviluppate inducono a concludere che non sussista quel concreto grave pericolo che minaccia l’incolomità dei cittadini, il quale solo può consentire l’esercizio del potere sindacale di cui il provvedimento impugnato costituisce espressione. Quest’ultimo rilievo consente altresì di sostenere la violazione, da parte dell’amministrazione, dell’art. 7 L. n. 241/1990 in quando nessuna comunicazione di avvio del procedimento amministrativo è stata data ai diretti destinatari del provvedimento, senza che si possa sostenere l’esistenza delle ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, a meno che non si voglia affermare che le problematiche prese in considerazione dell’ordinanza impugnata siano improvvisamente comparse alla data del 23 marzo 2005.
ISTANZA
PER LA SOSPENSIVA EX ART. 21, COMMA VIII L. N. 1034 DEL 1971 CON CONTESTUALE ISTANZA AL PRESIDENTE EX 21, COMMA IX, L. N. 1034 DEL 1971, COME MODIFICATI DALL’ART. 3 L. N. 205/2000.
Sussiste il fumus boni iuris posta l’evidenza ed ampiezza dei vizi del provvedimento impugnato, confortato anche dall’ampia ed concorde giurisprudenza amministrativa.
Sussiste il periculum in mora, nelle specie di pericolo di grave ed irreparabile danno economico per le attività esercitate dai ricorrenti come descritte in narrativa, nonché per l’immagine delle attività imprenditoriali degli stessi, irragionevolmente ed indistintamente assunte a causa di fenomeni di devianza e degrado sociale urbano, rapprentati sui media locali quasi come dediti attività para-illecite, senza che la limitazione temporale della vigenza dell’ordinanza al 30.11.05 possa indurre a conclusione diversa.
Sussiste, inoltre, l’estrema gravità ed urgenza di cui al comma 9, art. 21 L. n. 1034/71, come modificato dall’art. 3 L. n. 205/2000, posto che l’ampiezza del divieto introdotto dal provvedimento impugnato è suscettibile di cagionare oltre all’immediato ed irrecuperabile danno economico per le attività dei ricorrenti, anche lo sviamento della clientela verso altri luoghi urbani, in un periodo quale quello primaverile notoriamente pieno d’aspettative di ritorno economico per ogni attività connessa, direttamente od indirettamente allo svago ed alla ricreazione serale e notturna nel centro storico di Bologna, paventandosi così una lesione attuale dell’aspettativa di guadagno futuro. In un caso poi, Minima Moralia s.r.l., la vendita per l’asporto di vini selezionati rappresenta l’unica forma di entrata economica della relativa attività.
Tutto ciò premesso, i ricorrenti come ut sopra rappresentati, difesi e domiciliati
CHIEDONO CHE
Voglia l’Ill.mo Sig. Presidente del TAR adito, ricorrendo estrema urgenza e gravità, con il decreto di cui al comma 9 dell’art. 21 della L. n. 1034/71, senza ulteriore dilazione, sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato;
in via preliminare Voglia l’Ill.mo TAR adito, sussistendo pregiudizio grave ed irreparabile per le attività dei ricorrenti, ai sensi del comma 8 dell’art. 21 della L. n. 1034/71, sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato;
nel merito, contrariis rejectis, Voglia l’ Ill.mo TAR adito annullare l’ordinanza impugnata per i su esposti vizi di eccesso di potere e violazione di legge;
Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.
Si allegano:
1) Documentazione amministrativa Ricorrenti;
2) Licenza rilasciata dal Comune di Bologna il 01.12.2004 PG. 249238;
3) Sentenza TAR del Lazio del 26.10.2004;
4) Dati statistici sanzioni amministrative 2000;
5) Dati statistici sanzioni amministrative 2001:
6) Testo coordinato di disciplina degli orari relativi alle attività di vendita al dettaglio;
7) Rapporto diffusione dell’alcol a Bologna, ASL-SerT;
8) ricerca condotta dall’Azienda U.S.L. Città di Bologna su “Abuso di alcol e uso di sostanze stupefacenti tra i giovani che frequentano i locali pubblici della Provincia di Bologna;

Bologna lì, 21 aprile 2005
Avv. Marco Ferrari Avv. Maria Chiara Bollini

Si dichiara che la presente causa è di valore allo stato indeterminabile e pertanto è stato versato contributo unificato pari ad € 340,00

MANDATO
I sottoscritti Roberto Farina, Nicoletta De Iulis, Maurizio Rossi, Sikder Jamal, Rabiul Islam, Aminu Rahman, Siodique Kamruzzaman, Nahin Dhil, Mojumder Roman, Sikder Neyamat, Zahirul Hoque, Sheikh Monir Hossain, Aziz Hossain, Mahmood Sohel, Khan Khurshed Alam, delegano gli Avv.ti Marco Ferrari e Maria Chiara Bollini, disgiuntamente e congiuntamente, a rappresentarli, difenderli ed assisterli nel presente procedimento ed in ogni eventuale successivo ivi compreso quello di impugnazione, conferendo ad essi ogni opportuna facoltà ivi compresa quella di transigere o conciliare, rinunziare agli atti od alla azione, eleggendo domicilio presso il di loro Studio Legale sito in Bologna, Corte Isolani n. 2.


Avv. Marco Ferrari Avv. Maria Chiara Bollini


Updated  07-Apr-2005

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