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Rivoluzione Culturale?

Recentemente sulla stampa cinese sono apparsi richiami ad un periodo storico recente nella storia della Cina. Alcuni leader del governo centrale, mi riferisco a Wen Jiabao in primis, hanno usato il termine Rivoluzione Culturale in riferimento al caso Bo Xilai. Per chi non lo conosce Bo Xilai è stato (dopo l'ascesa è seguita la rovinosa epurazione) il potentissimo segretario del Partito a Chongqing (municipalità immensa nel sud-ovest della Cina, di circa 30 milioni di abitanti), che si ispirava alla Rivoluzione Culturale e si faceva propaganda attraverso canti rivoluzionari e slogan in stile rivoluzionario. Milioni di persone hanno cominciato a sostenerlo, persone giovani per il suo fascino rivoluzionario misto ad una moderna strategia di pubbliche relazioni all'americana, e persone che giovani erano in quegli anni (1966-1976) e che non essendolo più hanno respirato una nuova giovinezza...come se potesse ritornare, sigh!

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Azzardo una mia modesta interpretazione: nelle varie provincie cinesi si può dire che i Signori della Guerra locali esistano ancora, ed è difficile per il Governo centrale tenerli sotto controllo, anche se il potere del PCC (Partito Comunista Cinese) in questi casi così famosi riesce sempre a vincere; meno o mai per i casi troppo periferici per essere noti (mi riferisco ai potentati locali).

Signori della Guerra nella Cina del "Miracolo Economico"? Eresia!...non credo se si considera da un punto di vista moderno e non semplicemente storiografico; ma lasciamo stare.

Per chi volesse approfondire la "saga" della famiglia Bo consiglio di leggere i post sul blog di Marco del Corona sul Corriere della Sera, perché non è questo di cui voglio parlare sul sito di Altotasso. Anzi ho già scritto abbastanza; vorrei far parlare il fotografo Li Zhensheng, e sua moglie, attraverso un'intervista che gli feci anni fa per l'uscita del suo libro Red Colour News Soldier, e in occasione di una mostra delle sue fotografie che si tenne in Italia, libro che consiglio di avere nella propria libreria di casa. Li Zhensheng, era un giovane fotoreporter e membro di un comitato rivoluzionario della provincia dell'Heilongjiang, nel nord-est del paese, provincia che lo stesso Mao aveva detto di prendere come esempio rivoluzionario.

"All'epoca io, come la maggioranza del popolo, ero un rivoluzionario convinto, davo il mio pieno sostegno alla Rivoluzione culturale perché pensavo che fosse un movimento che elevasse il paese a livello culturale". Li lavorava per il quotidiano Heilongjiang Ribao: "A quei tempi c'erano pochissimi fotogiornalisti e i più erano militari in congedo. Nel mio gruppo eravamo in cinque, ma mentre i miei colleghi fotografavano quasi solo gli aspetti positivi, io scattavo foto in ogni occasione e per questo sono stato criticato diverse volte".

Per evitare che le sue foto "negative" venissero scoperte e distrutte, Li le nascondeva sotto il pavimento di casa sua e negli anni ne ha accumulate circa 30.000, ognuna eccezionale testimonianza di un periodo storico che si ricorda principalmente per i poster di propaganda e gli slogan, per il culto di Mao divinizzato come un imperatore celestiale, per l'influenza che ebbe sui giovani di tutto il mondo. Lo scopo della Rivoluzione culturale era di rovesciare il vecchio mondo, di "creare l'uomo nuovo" attraverso l'eliminazione dei pensieri stantii, della cultura superata, delle abitudini e consuetudini vecchie ed arretrate. Ciò che Li fotografa lo colpisce profondamente. Quasi subito nascono i primi dubbi che mettono in discussione quello che accade.

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"Il mio cambiamento, la trasformazione dei miei pensieri sulla Rivoluzione culturale è stata graduale ed è passata attraverso diverse fasi". Quando il giovane Li documenta la distruzione di una chiesa ortodossa e la critica dei monaci in un monastero buddista, si accorge che la Rivoluzione culturale sta in realtà disruggendo la cultura del paese: "Mi sono sentito smarrito e mi sono chiesto se si trattava veramente di una rivoluzione per accrescere la cultura, perché anche la religione fa parte del patrimonio culturale di una nazione".

I veri dubbi nascono quando Li Zhensheng comincia ad assistere ai processi pubblici, e alla critica di massa: "Mi sono detto che si poteva criticare un'ideologia, però che bisogno c'era di torturare fisicamente una persona? Le violenze, le torture erano mancanza di umanità. Assistendo a questi eventi soffrivo molto, ma non potevo urlare altrimenti sarei stato preso subito ed etichettato come controrivoluzionario. Le mie emozioni, le mie sofferenze sono state trasportate nelle mie fotografie, nel mio lavoro, nel scattare più foto possibili per registrare e documentare queste scene, questi atti inumani".

Il momento più terribile della vita di Li avviene quando la violenza della Rivoluzione culturale tocca i suoi affetti: la famiglia della sua prima ragazza e quella di Zu Yingxia, sua collega al giornale che diventerà sua moglie. Ricorda Zu: "Un giorno ricevetti una lettera da mio fratello che mi annunciava il suicidio di mio padre". Il padre di Zu Yingxia era un medico in un villaggio. "Mio padre era una persona con una grande dignità. A detta di tutti era molto bravo. La Rivoluzione culturale esigeva che qualcuno pagasse per il suo essere "nero", controrivoluzionario e capitalista, solo perché guadagnava di più rispetto ai contadini della Comune. Venne preso e torturato facendolo sudare di fronte ad una stufa e poi gettandolo fuori in mutande in mezzo alla neve con una temperatura di 20 gradi sotto zero. Per difendere la sua dignità e non potendone più delle brutalità si uccise".

Quando Zu vede le fotografie scattate dal marito rimane scioccata: "Mi dicevo, allora è questo il vero volto della rivoluzione? C'era una valutazione distaccata che non coinvolgeva le mie emozioni più di tanto, ma quando ho associato queste foto con la lettera di mio fratello, ho capito le cose terribili che mio padre ha attraversato".

In quel periodo non c'era tempo per i sentimenti personali. Era normale che all'interno delle famiglie ci fossero denuncie e delazioni della moglie contro il marito, dei figli contro i genitori: "Quando lavoravo al giornale stavamo in un dormitorio dove non c'era neanche un bagno pubblico. Eravamo tutti molto poveri. Una giovane coppia di colleghi che aveva appena avuto un figlio non poteva permettersi di comprare i pannolini. Quando il bambino defecava, il marito prendeva un giornale per pulirgli il sedere e poi lo buttava via. La moglie lo denunciò perché su alcuni di questi giornali che aveva usato c'era l'immagine di Mao".

Un giorno del 1969 Li e sua moglie vennero presi e inviati in campagna alla scuola di rieducazione "7 maggio" dove rimasero per alcuni anni fino alla loro riabilitazione avvenuta alla fine di quella follia.

Li-Zhensheng-001Nonostante il recente esplicito riferimento alla Wenhua Da Geming ????? (Rivoluzione Culturale in mandarino), ancora adesso i "Dieci anni di calamità" imbarazzano, fanno riaffiorare ricordi dolorosi nelle persone. Quando chiedo ai miei studenti se hanno mai parlato con i loro genitori di quel periodo, quasi la totalità mi dice che i parenti non ne vogliono parlare (alcuni di quelle mamme e papà che all'epoca facevano parte delle Guardie Rosse, e di cose ne hanno viste e fatte, e potrebbero anche aver ucciso delle persone durante le persecuzioni dei controrivoluzionari, perché dirlo ai figli? In fondo sono madri e padri...). Inoltre la Rivoluzione Culturale è ancora un argomento politico che getta un'ombra oscura su Mao e sul PCC tale da non permettere ancora la pubblicazione in Cina del libro.

Per approfondire ed avere una visione seria e fattuale di quegli eventi consiglio di guardare il documentario Morning Sun (morningsun.org), e il secondo dvd del documentario China: A Century of Revolution.

Si dice che un'immagine valga mille parole. Questo detto non è mai stato così vero come per le fotografie di Li Zhensheng. Esse valgono milioni di parole, centinaia di milioni di vite umane sconvolte da un enorme movimento di massa che portò la Cina sull'orlo della guerra civile.

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Li Tianbing

Ho conosciuto Li Tianbing anni fa durante la prima biennale d'Arte a Beijing; questa è una chiacchierata con questa semplice persona, un appassionato fotografo "scoperto" da Long March Art Project, un tentativo di portare l'arte contemporanea, dal suo contesto urbano, alla vasta campagna cinese, e di far conoscere alle metropoli cinesi i tanti artisti nascosti in provincia.

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Li Tianbing è nato nel 1935 nella provincia del Fujian, una delle provincie più arretrate della Cina, da una famiglia di contadini. Nel '43, rimasto orfano del padre all'età di 8 anni, dovette iniziare a lavorare la terra per aiutare la madre. Qualche anno dopo, finita la guerra di liberazione dai giapponesi, ritornò al suo villaggio un fotografo che aveva bisogno di un ragazzo che lo aiutasse a trasportare tutta l'attrezzatura. Li Tianbing iniziò così ad interessarsi al mondo della fotografia e, dopo aver accumulato esperienza, decise di fare una cosa che pochi, al suo villaggio e a quel tempo, avrebbero capito: prese il bufalo della famiglia, che voleva dire la vita stessa per una famiglia di contadini, per venderlo e comprarsi la sua prima macchina fotografica. Viaggiò per tre giorni a piedi e finalmente arrivò in città. Qui, dopo aver fatto l'affare, si comprò una macchina fotografica inglese prodotta nel 1946, di quelle in legno con un trepiedi che funzionano a lastre. Li Tianbing, al suo ritorno, si scontra con la madre, che lo chiama "la rovina della famiglia", ma alla fine capisce che la passione per la fotografia è molto forte in suo figlio. Da quel momento Li Tianbing alternerà il lavoro nei campi e la fotografia.

Quali sono i suoi soggetti preferiti?

"I miei soggetti preferiti sono le persone, nei paesi molto remoti, che di solito non hanno nessuno che li fotografa". Li Tianbing fotografa i contadini come lui, la sua gente. All'inizio le persone sono stupite ed incuriosite, vogliono vedere se le foto assomigliano alle persone vere.

Quale è l'accoglienza della gente dei villaggi?

"Loro sono molto contenti, e mi chiedono di andarli a fotografare almeno una volta all'anno. La campagna però è così grande e non ce la faccio ad andare una volta all'anno in ogni villaggio, quindi ci vado una volta ogni tre anni".

Le voci corrono, e la fama di quest'uomo che gira i villaggi a fare fotografie lo precede. Ogni volta che arriva in un posto l'accoglienza è calorosa, le persone vogliono una foto e si improvvisano set fotografici. Quali emozioni prova quando scatta una fotografia?

"Nutro un forte interesse per la fotografia. Quando vedo una foto che non mi piace, della quale non sono soddisfatto, allora mi sento male e la voglio rifare fino a quando non sono soddisfatto, o i soggetti che ho fotografato non sono soddisfatti".

Che cosa ne fa delle foto che sono venute male?

"Le tengo comunque per studiarle, per potermi migliorare. Espongo le foto su dei grandi pannelli, poi gli abitanti dei villaggi che fotografo, vengono a scegliere la foto che gli piace di più".

Li Tianbing fotografa persone, cerimonie, feste popolari e matrimoni. E' l'uomo il suo soggetto, è l'uomo che vuole fotografare, anche perché la fotografia diventa il suo primo lavoro, la sua ciotola di riso quotidiana; ma non basta. Suo figlio ci risponde che dopo è diventato più difficile, con solo la fotografia, dare da mangiare alla famiglia, quindi Li Tianbing ha cominciato a coltivare la terra e ad allevare i maiali. Ma la natura e gli animali rimangono comunque solo lo sfondo delle attività umane.

Ha mai provato ad utilizzare una macchina fotografica moderna, e se si perché ha continuato a scegliere la sua vecchia macchina?

"Certo che ho provato con una macchina fotografica moderna, una di fabbricazione cinese, non importata. Forse per i giovani che vogliono fotografare i paesaggi, per loro è meglio una macchina fotografica moderna. Per me che fotografo le persone è meglio la mia macchina fotografica".

Nonostante il pieno sviluppo della zona costiera, e dei siti di interesse turistico, le montagne interne del Fujian sono zone impervie, con un'agricoltura povera di sussistenza, ancora adesso alcune aree sono senza elettricità, e al suo villaggio Li Tianbing ha attrezzato una vecchia stalla in camera oscura. Per sviluppare le foto utilizza solo la luce naturale (è questa la sua magia) che entra attraverso il camino, o la porta della stalla. I tempi di esposizione devono essere calcolati benissimo se non si vuole rovinare la foto, e Li Tianbing è diventato un esperto. Anche oggi utilizza le stesse tecniche per sviluppare le fotografie. Per fotografare non ha mai utilizzato il flash, e pur di trovare la luce giusta è disposto ad aspettare ore e ore. Nel corso degli anni Li ha viaggiato per tutta la provincia del Fujian, ha raccolo più di 300.000 fotografie, ritratti di persone, di contadini, e recentemente è entrato nel Guinness dei primati come l'uomo che ha scattato il più alto numero di fotografie con luce naturale al mondo.

Nella sua vita, le sono mai capitati episodi particolari?

"A volte ho incontrato dei banditi che volevano derubarmi, ma io riuscivo sempre a nascondere la mia macchina fotografica, e mi prendevano solo i soldi. Un'altra volta ero fuori a fotografare quando si è scatenata una tempesta, ed io per ripararmi e per salvare la mia macchina fotografica mi sono messo sotto un masso. Ma la forte pioggia ha fatto scivolare il masso e per poco non mi ha schiacciato. Mi ricordo che durante un mio viaggio ho incontrato un branco di lupi, e mi sono dovuto rifugiare su un albero, mentre un giorno un serpente mi ha morso e per due mesi sono rimasto a letto. Una notte sono capitati nella mia zona una banda di banditi. La gente di un villaggio, spaventata dalla violenza di questi uomini, gli ha raccontato che nel villaggio vicino, il mio villaggio, c'era un uomo che aveva una macchina fotografica di valore. I banditi allora sono venuti al mio villaggio. Io sono scappato, con la mia macchina fotografica, nella foresta per nascondermi. I banditi mi sono corsi dietro, mentre due miei zii hanno cercato di fermarli. Questi criminali, non essendo riusciti a prendermi, hanno ucciso uno degli zii e hanno ferito l'altro. Poi, sono tornati indietro ed hanno incendiato il villaggio. Spento l'incendio gli abitanti decisero di lasciare il villaggio e solo io e la mia famiglia abbiamo deciso di rimanere. Col tempo, altre persone sono arrivate ad abitare nel villaggio".

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Durante la Rivoluzione Culturale la fotografia era considerata un simbolo borghese e per questo motivo vietata. Li viene criticato pubblicamente, ma la gente dei villaggi difende lui e la sua macchina fotografica che viene nascosta. Per quasi 10 anni Li non è più libero di fotografare. Se lo fa, lo fa di nascosto, stando attento a non farsi scoprire. Finita la grande ondata rivoluzionaria, Li riprende a girare per le campagne e a fotografare i contadini. Alla fine degli anni '90, i curatori del progetto della Lunga Marcia, scoprono Li e le sue fotografie e gli chiedono di unirsi al loro progetto. Ancora oggi Li Tianbing continua a fotografare con la sua vecchia macchina, è diventato nonno ed alcuni dei suoi nipoti, così come suo figlio diventato fotografo professionista, a volte lo seguono nei suoi viaggi ed imparano dal nonno come fare le fotografie. Li Tianbing è ormai una leggenda vivente con tante storie da raccontare.

Tianjin

Tianjin è una delle 4 municipalità sotto diretta giurisdizione del governo centrale cinese (le altre sono Beijing, Shanghai e Chongqing) e la sua storia è strettamente legata alla vicina Pechino da cui dista poco più di 100 km. Situata a pochi km dal Mare Bohai la sua posizione ne ha sempre fatto un importante porto commerciale fin dai tempi di Kublai Khan quando i carichi di cereali provenienti dal sud della Cina arrivavano in questo porto per rifornire la capitale e il nord del paese. Fortificata e cinta da mura fin dal XV° secolo la sua importanza venne notata dalle potenze coloniali che nel 1856, prendendo a pretesto l'episodio della Arrow (scoppiarono incidenti su questa nave inglese ancorata nel porto mentre perquisita da truppe cinesi a caccia di pirati e oppio), attaccarono la città e costrinsero il governo cinese alla firma del Trattato di Tianjin 2 anni dopo. Il Trattato di Tianjin aprì alcuni porti cinesi (tra i quali la stessa Tianjin) al commercio con l'estero e legalizzò la vendita dell'oppio (proibito in Europa), i cui ricavi servivano per comprare le merci cinesi come le porcellane, la seta, il tè, ecc., richiestissime dai mercati europei. Inglesi e francesi furono i primi a insediarvisi seguiti poi da tedeschi, austrungarici, belgi, italiani, giapponesi, e russi; tutte le potenze straniere ebbero le loro concessioni, sulla riva sinistra del fiume Hai, che costituivano mondi a parte dotati di tutte le infrastrutture come caserme, ospedali, scuole.

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A due passi da Taiwan

Xiamen (??), nella provincia del Fujian, terra di forte immigrazione cinese, fino al secolo scorso era un'isola situata alla foce del fiume Jiulong. Un isola non molto importante per i cinesi se non quando, durante il XVII° secolo, la dinastia Ming scacciata ad opera dei Manciù vi si rifugiò, e da qui partì il tentativo di rimettere sul trono la corte. Tentativo guidato dal pirata di origine sino-nipponica chiamato Zheng Chenggong, conosciuto in Europa con il nome di Koxinga. Gli stranieri, che la chiamarono Amoy, furono molto interessati a questa isola. Nel 1841 gli inglesi scatenando la Seconda Guerra dell'Oppio ne forzarono il porto e se ne impadronirono. Ma non erano gli unici ad avere delle mire su questa città-isola. Nel XIX° secolo, infatti, si spartitrono l'isola ben otto nazioni europee ed anche Giappone e Stati Uniti vi insediarono delle legazioni.

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Di fronte a Xiamen c'è una piccola isola, Gulangyu, "l'isola dei pianoforti", raggiungibile in 5 minuti di traghetto. Su quest'isola i cinesi e gli stranieri arricchiti dal commercio, vi costruirono ville meravigliose che gareggiavano in bellezza con le sedi delle legazioni straniere. La città fu riconquistata dai cinesi solo durante la Guerra di Liberazione. Nel 1956 Xiamen fù collegata alla terra ferma da un ponte e smise di essere isola. Nel 1980 le venne concesso lo status di "Zona a Statuto Economico Speciale" e fù aperta all'investimento straniero. Oggi il passato coloniale rivive nelle architetture di quella che oggi è la strada principale, Zhong Shan Lu ( Sun Zhong Shan è il nome cinese, Sun Yat-sen è il primo nome "internazionale"), nelle stradine del centro cittadino, e nell'isola di Gulangyu. In questa piccola isola (dove non sono ammessi autoveicoli) i vecchi palazzi, che sono ora patrimonio storico artistico della Cina, sono stati restaurati e sono sede di musei, gallerie, ristoranti, negozi o case di riposo per generali dell'Armata Rossa ormai in pensione. La città di Xiamen oggi conta circa un milione e mezzo di abitanti e c'è un qualcosa che ricorda le città portuali del Mediterraneo nel labirinto di viuzze strette e coperte dalle tende di plastica colorate, piene di mercati e negozi di tutti i generi, pasticcerie, ristoranti, ecc. Nella classifica nazionale è la terza città dove si vive meglio in Cina: è pulita, ricca, è sede di un'importante università, e ha un clima primaverile per la maggior parte del tempo (a parte qualche tifone nella stagione estiva delle piogge).
Di fronte alle coste di Xiamen, a pochi chilometri, ci sono diverse piccole isole, cinque di queste appartengono a Taiwan: l'isola di Da Dan, Xiao Jinmen, Jinmen, ed altre due isolette. Durante la fuga del Kuomintang, le truppe fedeli a Chiang Kai-shek vi si rifugiarono. Da allora queste isole, alcune dei veri e propri scogli, sono sotto stretta osservazione della marina militare cinese; agli inizi degli anni '50 l'esercito cinese le cannoneggiò, nella speranza di riprendersele ma senza riuscirci. Percorrendo Zhong Shan Lu fino alla passeggiata sul mare, andando a destra si arriva all'imbarcadero dei traghetti per Gulangyu, andando a sinistra si arriva all'imbarcadero per Hong Kong. Da qui partono le gite turistiche: ci sono dieci traghetti al giorno, quasi tutti stracolmi di turisti, e per un'ora e mezzo ci si sente un poco "in guerra" con i "fratelli soldati" del Kuomintang. La gita comincia con l'altoparlante che, a tutto volume, trasmette canzoni patriottiche e di intrattenimento mentre alcuni membri dell'equipaggio distribuiscono binocoli con colori mimetici. La voce della guida comincia a descrivere l'attuale situazione di queste isole. Di lontano si scorge una grossa nave che la guida annuncia essere la nave della marina cinese per il controllo delle acque antistanti le isole (in realtà la nave è un cargo, ma la nave militare è più al largo ed i marinai imbarcati si danno il cambio ogni 6 mesi. Più ci avviciniamo e più la tensione tra i cinesi sale, la gente a bordo freme di impazienza: un uomo con la moglie e la madre soffrono di mal di mare, mentre il figlio di dieci anni guarda eccitato una piccola isoletta che diventa sempre più nitida e vicina. E' Da Dan. La guida ci avverte che arriveremo a circa 50 metri dalla sua spiaggia. In lontananza sulle coste cinesi si vede un enorme scritta in rosso: "Un paese, due sistemi" Yiguo Liangzhi (????), l'idea di Deng Xiaoping per la riunificazione di Hong Kong, Macao e Taiwan (One country, two systems). Avvicinandosi si possono vedere alcune barche dei pescatori di Taiwan che vengono a pescare nelle acque territoriali cinesi e che poi si rifugiano nel porto sicuro dell'isola se le cose si mettono male; questo fatto porta, a volte, i due governi a discussioni e trattative per il rilascio delle imbarcazioni sequestrate. Si scorgono le difese antisbarco sulla spiaggia, i bunker e le torrette: su una di queste sventola la bandiera di Taiwan e su un muro ve n'è dipinta una gigantesca. In questo confronto di scritte, anche dalla parte di Taiwan c'e' una scritta su una striscia di muro che richiama ai Sanmin zhuyi (????) i tre principi del popolo cardine della politica di Sun Yat-sen che si possono tradurre nell'indipendenza nazionale, nel benessere del popolo e nella democrazia del popolo.

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Il traghetto si avvicina e si vedono due ombre di soldati che si allontanano da una torretta verso alcuni alberi. Uno di questi torna indietro, entra nella torretta, vi rimane qualche minuto per poi riprendere la strada verso il centro dell'isola coperto di vegetazione. "Fratelli soldati", è la frase con cui, alcune guide turistiche pubblicate in Cina, invitano a chiamare i soldati dell'esercito di Taiwan che si trovano su queste isolette. Nel progetto di riunificazione del governo cinese, le forze militari dei due paesi rimarrebbero autonome, come è accaduto per la polizia di Hong Kong o per quella di Macao.
Negli ultimi 10 anni, specialmente dopo la vittoria del Kuomintang nelle ultime elezioni, le due marine hanno collaborato con esercitazioni congiunte, e navi militari cinesi e taiwanesi operano insieme di fronte alle coste della Somalia contro i pirati. Inoltre gli investimenti da entrambi i lati crescono ogni anno, grazie anche al fatto che Taiwan e il Fujian condividono una storia intrecciata, lo stesso dialetto (quasi una lingua vera e propria visto che gli stessi cinesi non capiscono niente quando un abitante del Fujian parla...d'altronde solo il 53% dei cinesi parla il Mandarino...ma questa è un'altra storia) e la stessa cultura. La Cina, seconda economia mondiale, si sente forte e sicura nei confronti di Taiwan, talmente forte che a Xiamen si trovano i quattro maggiori giornali di Taiwan: China Times, Economic Daily, United Daily News e Taiwan Commercial Times, che non hanno una linea editoriale allineata al governo di Pechino (mentre a Taiwan i giornali della Repubblica Popolare Cinese sono vietati). Per le festività, specialmente quella del Chun jie, il capodanno cinese, aerei charter collegano Taipei (capitale di Taiwan) con Beijing per consentire ai sempre più numerosi turisti e ai parenti divisi da decenni di "guerra fredda" di ricongiungersi; inoltre navi e traghetti collegano le due sponde, in vista di una riunificazione con la "madrepatria" che potrebbe essere sempre più vicina...Stati Uniti e taiwanesi permettendo.

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La provincia del Fujian si trova a sud-est della Cina, sulla costa del Mar Cinese Orientale, di fronte all'isola di Taiwan. E' grande quanto metà dell'Italia e la sua storia è sempre stata una storia di mare e di migrazioni. L'80% del suo territorio è montuoso, e il clima dell'entroterra è subtropicale e ciò permette la coltivazione di una scarsa ma selezionata agricoltura, con la presenza di diverse varietà di frutta tropicale, ma il Fujian è famoso principalmente per la pesca e per le ostriche. In epoca Song e Yuan (10°-15° secolo) la provincia conobbe un periodo di prosperità: rotte commerciali la collegavano ai più importanti porti dell'Asia, all'Arabia e all'Africa e i ricchi traffici la trasformarono in una ricca terra. La conformazione della sua costa, con la presenza di porti naturali, la resero ambita anche dalle potenze coloniali. In epoca Ming e Qing la scarsa agricoltura e l'allettante prospettiva di un lavoro all'estero spinsero molti abitanti a emigrare, a tal punto da costringere il governo di Pechino a promulgare una legge per fermare l'emigrazione. Oggi come allora alcune delle città costiere come Xiamen (??), una bellissima città con un importante passato coloniale, sono delle Zone a Statuto Economico Speciale che attirano le rimesse dei cinesi emigrati e molti investimenti stranieri. In questa Provincia, come anche in quelle confinanti del Jiangxi e del Guandong, vive una delle minoranze cinesi: quella degli Hakka.

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Le origini degli Hakka si perdono nelle nebbie del tempo, alcuni dicono che sono tra i precursori della civiltà cinese e che la loro lingua è alla base del mandarino. Partendo da Xiamen, in corriera o in treno, si sale verso le montagne. La natura è rigogliosa ed il paesaggio è incantevole, e dopo diverse soste si arriva alla cittadina di Longyan; da qui si prosegue in corriera fino al villaggio di Hongkeng, un ottimo punto di partenza per andare a vedere le case degli Hakka, ovvero i Tulou (??), le case di terra. I Tulou si possono trovare tra le provincie del Guangdong e del Fujian, ma è in quest'ultimo, nella contea di Yonding, che si trova la maggiore concentrazione. I primi Tulou sono apparsi in Cina circa 1200 anni fa. A guardare bene la loro architettura, sono più di case, sono fortezze. Generalmente di forma quadrata, rettangolare, rotonda, le costruzioni, come si vede dalla foto, sono alte da 6 a 10/12 metri, su 2 o 4 piani, con un unica porta che serve sia come entrata che uscita. Altre forme sono ottogonale, pentagonale, a D e a forma di ?(in cinese ri significa sole). Le finestre sono piccole e non ce ne sono molte, e mai al piano terra; anzi in parecchi Tulou non ce ne sono proprio e le finestre che si vedono, così come i pochi balconi che si affacciano all'esterno, sono stati costruiti recentemente. La vita del Tulou si svolge all'interno, dove vivono ancora diverse famiglie, e in alcuni edifici si può anche dormire e mangiare l'ottima cucina Hakka: l'ospitalità degli Hakka è proverbiale. Queste case-fortezza, questi castelli, sono costruiti con spesse mura di terra, sabbia, pietra calcarea, schegge di legno, sostenute con una intelaiatura di bamboo, il che rende gli edifici caldi di inverno e freschi d'estate e a prova di terremoto. Entrando nei Tulou, ci si trova di fronte un grande cortile dove, in alcune costruzioni, sono state costruite delle piccole casette con recinti utilizzate per rinchiudervi polli o altri animali da cortile. La vita quotidiana si svolge in questi cortili, alcune casette hanno la funzione di cucina, altri sono adibiti a servizi igienici, e in tutti si trovano gli altari per pregare gli antenati. Guardando si nota che ogni piano, dove abitano le persone, è percorso da una balaustra di legno con tettoia sopra la quale sono sparsi a seccare peperoncini, o ci sono panni lavati appesi ad asciugare. Su ogni singolo piano, un anello di lanterne rosse dondolanti è in aggraziata sintonia con il rosso scuro delle tavole di legno che fanno da mura interne per le abitazioni. All'interno dei Tulou più grandi, come quelli di Yongkanglou o di Chengqilou, vi sono dei piccoli padiglioni con palcoscenico in stile architettonico tradizionale. Durante l'estate si svolgono feste e rappresentazioni teatrali, e in un Tulou in particolare vi è un palcoscenico che ricorda il Globe Theatre, il teatro all'aperto di Shakespeare. Parlando con la gente c'è stato qualche problema perché gli Hakka sono giustamente fieri della propria lingua e cultura, e specialmente le persone anziane ti parlano solo in Hakka, ma i sorrisi e i gesti sono il linguaggio universale, e alla fine ci siamo capiti.

 

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Una curiosità: durante alcuni colloqui tra gli Stati Uniti e la Cina, gli americani chiesero se quelle strane costruzioni che avevavo fotografato con il satellite erano o no dei silos per missili nucleari intercontinentali. I cinesi, con un sorriso sulle labbra, hanno spiegato che erano fortezze, ma che non contenevano nessun missile. Nel luglio 2008 I Tulou sono diventati patrimonio Unesco (http://whc.unesco.org/en/list/1113).

Tornando indietro a Longyan, si può poi prendere un'altra corriera per andare a Changtin, una piccola, pulita, ordinata, splendida cittadina di epoca Ming, dove durante gli anni '30 vi si insediò uno dei primi governi comunisti. E' bellissimo perdersi per le stradine strette dei vecchi quartieri, guardare gli artigiani, famosi per la loro abilità nello scolpire il legno o disegnare. Il giorno dopo si torna verso la costa: la prossima tappa sarà Xiamen.

1700 anni

1700 anni! Giacomo mi guarda con un sorriso enigmatico e compiaciuto della sorpresa che mi suscita questa notizia.  Sa di avere acceso un interuttore nella mia testa, e che la mia curiosità certamente mi spingerà a dire: “Partiamo”.

Di nuovo sulla strada; appena possibile chiudere la porta di casa partendo solo con uno zaino mezzo vuoto, scarpe rodate da chilometri di strada fatta, e tanta tantissima voglia di conoscere, di imparare, di conoscere viaggiatori solo per un istante, di scoprire e andare all’avventura cercando ciò che di misterioso rimane ancora in questo mondo sempre più omologato, con sempre meno diversità.

Nei giorni di vacanza di Duanwu Jie (Duanwu_Festival) lasciamo la vecchia stazione dei treni di Beijing verso sera, 15 ore di treno per arrivare ad Hangzhou nella provincia del Zhejiang (??), da là prenderemo una corriera e con altre 3 ore arriveremo ai monti Tiantai (???).  Immersi nei boschi, a un migliaio di metri d’altitudine, giacciono dal VI secolo alcuni monasteri buddisti e taoisti. E’ il luogo di nascita della setta buddista di Tiantai (la Terrazza, o Piattaforma, del Cielo, o Celeste...scegliete voi...) profondamente influenzata dal taoismo. E’ in questi luoghi che il buddismo indiano sarà fortemente rielaborato e “esportato” in Giappone e in Corea (per la diffusione del buddismo in Cina: History_of_Buddhism_in_China).

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Nascosti da centinaia e centinaia di anni, antichi rotoli di sutra buddisti su foglie di palma trattata con sostanze naturali provenienti dall’India (dove ancora oggi vengono scritti impressi a fuoco, per un esempio vedi lo splendido documentario della BBC di Michael Wood (The_Story_of_India) vecchi di 1700 anni,  sono custoditi gelosamente dai monaci che ne fecero traduzioni in cinese e tibetano. Sembra che per sbaglio un novizio ignaro, che doveva fare pulizie in vecchie stanze piene di vecchi oggetti, anni fa abbia cominciato ad accatastare questi sutra per buttarli via, e che solo l’intervento di un vecchio monaco abbia evitato la perdita di questi preziosi testi.

Dentro la corriera i dvd di karaoke e video musicali in stile anni ’80, con ballerine in scaldamuscolo e body flash-colorati, e l’aria condizionata, come al solito in estate in tutti i luoghi chiusi in Cina al massimo a 19 gradi, contrastano con l’umidità e il caldo, il grigio del cielo pieno di pioggia e la campagna che scorre dai finestrini del veicolo.

Arrivati alla cittadina di Tiantai non perdiamo tempo e alla stazione delle corriere trattiamo il prezzo con un Sanlun Che (??? come si chiamano i tricicli in Cina) a motore,  e ci facciamo portare subito al Guoqing Si (Guoqing_Temple) il più interessante e importante dei templi. Durante tutto il viaggio non abbiamo trovato nessun turista e solo qui alcuni cinesi stanno visitando il tempio, mentre studenti d’arte sono sparsi fuori e dentro il tempio disegnando chi il tutto, chi i particolari. Il tempio è semplicemente meraviglioso! Cominciamo a gironzolare, cerchiamo gli “uffici” del tempio e li troviamo. 3 monaci stanno scrivendo massime buddiste su tavole di legno, alzano la testa e ci sorridono salutandoci. Entriamo e dopo esserci presentati chiediamo dei rotoli: Esistono realmente? Dove sono? Si possono vedere?

I monaci non si sbottonano, sempre sorridendo ci dicono che esistono ma che non si possono vedere, e che solo pochi monaci anziani sanno dove sono. Uhmm? Che sia una di quelle idee per richiamare fedeli generosi? Nonostante siano persone religiose...sentiamo che ci possiamo fidare, salutiamo e continuiamo a girare tra le stanze del tempio. Un odore inconfondile, quello di Yuanbaicai il cavolo rotondo cinese, ci spinge ad entrare nelle cucine e siamo i benvenuti: chiacchieriamo con i monaci in servizio e con i fedeli che prestano volontariamente aiuto per preparare i pasti, rigorosamente vegetariani (il budda comunque era carnivoro). Anche questi ambienti sono immutati da secoli, probabilmente anche il menù, e il modo è lo stesso da sempre: enormi pentole ribollono su supporti di mattoni attaccati a muri nel retro dei quali ci sono i buchi per alimentare il fuoco con legna e carbone.

Continuiamo a girare salendo scale, entrando in padiglioni e stanze, riposandoci a volte sotto gazebo dai legni colorati, nei boschi delle colline alle spalle del tempio.  In alcune stanze è stato ricavato un piccolo museo guardato a vista da un vecchio monaco e un novizio; improvvisamente, nel fondo di una teca un frammento, una pagina dei sutra che stiamo cercando!

Lo fotografiamo, c’è la voglia intensa di sapere leggere il sanscrito, questi strani segni marcati a fuoco, decorazioni della cultura umana. Esistono da 1700 anni, sono per me, il segno di una fiducia che, forse, si può ancora riporre nel genere umano, nella sua voglia di dire al vuoto: “Esisto, esisterò fino alla fine della Storia umana...fino alla fine del Mondo?”.

Rimaniamo nel tempio un paio d’ore  e quando usciamo siamo un poco tristi, non vorremo lasciare questa atmosfera, questi monaci. Solo fermandoci un’ora sotto l’antica pagoda di mattoni, in mezzo ai boschi, compensiamo la nostalgia di un posto visto per la prima volta.

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Torniamo a piedi lungo la strada e ci infiliamo  nelle risaie vicine alla periferia della cittadina. Bufali e una mucca arano i terrapieni. Altoparlanti da una terrazza vicina diffondono musica tradizionale e pop, intervallata da annunci di notizie locali e nazionali (Dai tamburi e cimbali, flauti e corde, un sempiterno ritmo che accompagna il lavoro nei campi dalla nascita dell’Agricoltura? O un più probabile lascito della rivoluzione culturale?). Un vecchio, con alcune capre sulle ghiaie di un ruscello, ci sorride sorpreso, anche lui è qui da sempre, noi invece siamo in cammino. Il primo hotel del paese non ci prende, troppe seccature avere degli stranieri in camera, devi registrarli per forza e sei quindi costretto a pagare le tasse su quel soggiorno. Il secondo non ci fa problemi: 100 yuan per una stanza decente con bagno. La sera le strade si riempiono di contadini che passeggiano in famiglia, giovani in moto elettrica fanno il solito circuito delle strade del centro piene di luci; c’è anche un ristorante caffè occidentale per i ricchi del paese e una scuola di yoga!

La mattina noleggiamo un taxi e ci facciamo portare al Gaoming Si, il monastero buddista in cima alle montagne. E’ in ristrutturazione e ci sono solo una decina di fedeli. E’ qui che originalmente venivano custoditi i rotoli, e la struttura in stile tradizionale che gli operai stanno costruendo, assomiglia ad una torre-fortezza; una volta ultimata sarà qui che forse verranno esposti questi sutra? Parliamo con le donne che aiutano i monaci, e entriamo nei loro alloggi, dove stanno seccando sui tetti, delle erbe raccolte nei boschi: servono per il raffreddore e per la febbre. Le pareti divisorie sono fatte di assi di legno e in ogni cameretta dormono 2 monaci: abiti appesi ad asciugare, 2 piccole scrivanie, un computer.  Ad un piccolo tempio taoista in cima ad un altro monte, abbiamo la sorpresa dei fedeli: sono molto giovani e la maggior parte sono donne...il fascino dei capelloni taoisti vestiti di nero deve essere intenso, specialmente se praticano il Wushu la mattina presto e smanettano il pomeriggio con il computer, come stanno facendo divertendosi negli uffici del tempio.  Infine entriamo nel Parco naturale dei monti Tiantai, altri monasteri e boschi fitti, e una struttura militare piena di antenne a cui ci viene naturalmente negato l’accesso. Sulla strada di ritorno ci fermiamo a mangiare dai contadini che subito spostano un pannello di compensato da un muro: dentro il buco ci sono alcuni sacchi contenti bei serpentoni grassocci, sguscianti e sibilanti. Rifiutiamo, anche se la voglia ci viene, e ci limitiamo a verdure selvatiche, melanzane viola intenso sottili e lunghe, uova e pollo ruspante, che ormai sazi, condividiamo con due cani dalle costole ben in evidenza. Beviamo tè della zona, piena di piccoli appezzamenti coltivati con questo arbusto tra le poche piante che le capre non mangiano, a causa del suo sapore che a noi uomini piace tanto...ma si sa, sono capre.

Presi gli zaini si va alla stazione delle corriere, torniamo verso Hangzhou (Hangzhou, “Non c'è al mondo città uguale, che vi offra tali delizie così che uno si crede in paradiso” Marco Polo.); vi passeremo una notte prima di tornare a Beijing. Arrivati in città dormiamo all’hotel del campus universitario, dove Giacomo ha studiato anni fa. E’ curioso di vedere se uno dei suoi primi maestri cinesi di Wushu si allena ancora al solito posto. Prima di andare a dormire passeggiamo lungo il Lago Occidentale, fermandoci ad ascoltare gli anziani, le persone che suonano strumenti tradizionali e cantano l’Opera cinese, o che ballano mazurche e a volte aerobica a ritmi di tecno. La gioia è tanta quando, la mattina dopo di buon ora, vedo questo vecchietto magro e un poco ricurvo di 92 anni. Ex professore di ingegneria elettronica, nonostante si limiti ad un passetto invece che saltare in alcune parti delle figure che si ricorda ancora a memoria, è sempre un guerriero, che ride di gusto e abbraccia con affetto Giacomo; sono commossi, e lo siamo anche noi, io e le sue anziane allieve che lo circondano. Quando si lasciano si ripromettono di vedersi ed allenarsi insieme in autunno...Siamo a sud, l’umidità ti si attacca e non ti lascia se non per scrosciare dal cielo. Tutto il pomeriggio lo passiamo sotto una tettoia vicino a campi di tè e case di campagna, la pioggia rumoreggia e noi sorseggiamo litri e litri di Longjing cha (Longjing_tea) tra risucchi e chiacchiere con la padrona del posto. Ormai è ora di tornare e prendiamo il treno di mezzanotte, l’ultimo utile per Pechino. L’ultima sorpresa ci attende nello scompartimento dei nostri letti: 2 curiose signore di Chengde (Località_montana_di_Chengde) iniziano a chiederci di tutto e cercano di convincerci a comprare pillole di polvere di pino.

Ci raccontano che alla fine degli anni ’70 alcuni scienziati tdeschi scoprirono una sostanza nei pini che combatte efficacemente l’invecchiamento dell’organismo, le industrie farmaceutiche per cui lavoravano si rifiutarono di proseguire le ricerche ma la notizia era già stata diffusa e i cinesi la presero sul serio. Stanno andando a Beijing per incontrare delle compagnie interessate a commercializzare questo farmaco all’estero, non solo negli Stati Uniti come succede già da anni. Se, come dice la più anziana delle due, ha 70 anni e prende queste pillole da 20 potrebbe essere vero, ne dimostra 20 di meno (ma con i cinesi stabilire l’età è sempre difficile), e non la smette mai di parlare!

In ogni caso l’incontro con “la setta delle mangiatrici di polvere di pino” ci ricarica di energia, potrebbe essere un’altra occasione di viaggio, di avventura, di curiosa ricerca di ciò che nel mondo rimane ancora di bizzarro e misterioso.

 

“Questo mondo è coperto di tenebre, pochi vi possono veder chiaro: raro è chi si alza in volo verso il cielo come uccello sfuggito alla rete”

Loka-Vagga (Il Mondo)  Siddhartha Gautama, il Budda.

Per la Cina o contro la Cina?

Chi scrive sulla Cina, per la Cina, o contro la Cina?

Altotasso nella sua nuova veste grafica, e con una nuova rubrica chiamata Casa Cina,  mi scuote dalla mia pigrizia, e mi spinge a scrivere qualcosa di piccola “utilità” per chi voglia approfondire l’enorme pianeta che è la società cinese. Mi limito di seguito a riportare indirizzi di siti internet solo in lingua Italiana, per quelli in altre lingue (inglese, francese, ecc.) c’è solo l’imbarazzo della scelta.

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Seta...?

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E’ mattino presto ed entriamo a Urumqi,  capoluogo della Provincia dello Xinjiang. Sulla via verso la stazione delle corriere la prima cosa che ci colpisce sono i camion militari che pattugliano le strade: la città è militarizzata! Appesi ai camion striscioni rossi invitano la popolazione all’unità e all’armonia sociale tra le varie etnie (“La società armoniosa” è lo slogan del PCC da diversi anni), sui camion 10 soldati, 5 per lato, armati di tutto punto con mitra, caschi e giubbotti antiproiettile, sorvegliano le persone che cominciano a vedersi in strada. Alla stazione delle corriere non ci sono controlli ma appena usciti ci accorgiamo che ad ogni angolo degli incroci, su una pedana sotto un ombrellone, ci sono 4 soldati armati di scudi, casco, e una spessa mazza di legno: 16 in totale per incrocio. A fianco ci sono i blindati delle squadre speciali: vestiti in nero, mitra, giacchetto antiproiettile, casco, walkie talkie e occhiali da sole.

urumqi

Arrivati in hotel verso le 5 del mattino decidiamo per una breve doccia e subito cominciamo a gironzolare per la città. La Piazza del Popolo è chiusa, militarizzata con blindati e anche una specie di piccoli carri armati. Lungo le strade della città gruppi di 20-30 soldati, con alcuni appartenenti alle forze speciali, pattugliano le strade segnando il passo che rimbomba nelle strade semi vuote della prima mattinata. Dopo una visita al museo provinciale, andiamo al quartiere mussulmano che si trova nel centro della città, dove c’è anche il grande bazaar. Sono circondati! Le stade che entrano nel quartiere uiguro della città sono tutte sorvegliate, e barriere di metallo mobili con punte e filo spinato servono a chuderle se dovesse succedere ancora qualcosa: la divisione etnica si respira nell’aria. Le case sono basse, molte sono fatiscenti, le strade sono strette: è sporco e pieno di gente, bancarelle, negozietti. Tutto intorno i grattacieli del veloce sviluppo cinese soffocano gli edifici e non passerà molto tempo prima che anche le case uigure verranno demolite per lasciare il posto a moderni edifici pieni di uffici, centri commerciali, locali alla moda; a Kashgar, la storica cittadina sulla Via della Seta ai piede del Pamir, sta già succedendo.  Non ci fanno entrare, il bazar sta chiudendo! Qualche giorno prima in televisione, sulla CCTV9 il canale in lingua inglese della tv di stato, avevamo sentito la notizia, data chiaramente con enfasi propagandistica, che a causa dei disordini che avevano provocato un rallentamento negli affari della città, eccezionalmente il bazaar sarebbe rimasto aperto fino a notte fonda. Non è vero! Delusi ci sediamo ad un tavolino fuori da una gelateria dove gustiamo un gelato delizioso fatto in casa. Gironzoliamo nella zona della moschea, dove sembra tutto sia cominciato; negozi cinesi con commessi e clienti cinesi, negozi uiguri con commessi e clienti uiguri: un’apparente calma segregazione razziale voluta da entrambe le etnie. Il giorno dopo, prima di lasciare lo Xinjiang, andiamo a visitare il Tian Chi, il Lago del Cielo a un centinaio di km da Urumqi. Il luogo è molto turistico, ma il paesaggio è incantevole, alpino: aquile svolazzano e boschi ricoprono le montagne che arrivano fino a 5445 metri di altezza con il Picco di Dio, cascate partoriscono arcobaleni. Prendiamo la seggiovia che ci porta su e improvvisamente musica tecno si diffonde in tutta la montagna; sono pazzi questi cinesi! Lungo tutto il perimetro del lago altoparlanti a forma di tronchetti d’albero diffondono musica  a tutto volume: James Brown, pop inglese anni ’80 e ’90, e altro ancora. Sul lago enormi barche a forma di dragone suonano sirene che andrebbero bene su petroliere. Pazzi! Mi arrabbio un poco e quando scendiamo cerco un responsabile. Evidentemente faccio paura, forse pensano a un terrorista, ma l’impiegato intimorito chiama la sicurezza. Cerco di spiegare che la gente che viene in questi posti cerca la natura, cerca i cinguettii degli uccelli, il rumore dell’acqua e del vento, gli insetti che ronzano. Niente da fare mi guardano con un sorriso ma lo vedo, capisco che non capiscono quello che voglio dire: per loro è normale così. Li mandiamo sottilmente a quel paese, non è la prima volta che viaggiando per la Cina incontriamo situazioni del genere e loro non riescono ancora a capirlo, pensano che così sia più bello.

Di nuovo sulla strada: destinazione aeroporto. Si torna a lavorare.

Volevo solo raccontare un viaggio fatto sulle tracce della seta.

Lentamente questa via di comunicazione, anzi queste vie di comunicazione, riaprirà attraverso il mega-continente eurasiatico. Sono già stati siglati accordi con la Turchia e con alcuni dei paesi dell’Asia Centrale (credo, tra le ultime frontiere ancora da esplorare), ma la seta, quel filo sottile, magico, luminoso, resistente, vitale, non c’è più. Al suo posto cominciano a dispiegarsi fili grossi, brutti, sporchi,  opachi, mortali: gli oleodotti.

ORARI

 

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