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Seta...?

tianchi

E’ mattino presto ed entriamo a Urumqi,  capoluogo della Provincia dello Xinjiang. Sulla via verso la stazione delle corriere la prima cosa che ci colpisce sono i camion militari che pattugliano le strade: la città è militarizzata! Appesi ai camion striscioni rossi invitano la popolazione all’unità e all’armonia sociale tra le varie etnie (“La società armoniosa” è lo slogan del PCC da diversi anni), sui camion 10 soldati, 5 per lato, armati di tutto punto con mitra, caschi e giubbotti antiproiettile, sorvegliano le persone che cominciano a vedersi in strada. Alla stazione delle corriere non ci sono controlli ma appena usciti ci accorgiamo che ad ogni angolo degli incroci, su una pedana sotto un ombrellone, ci sono 4 soldati armati di scudi, casco, e una spessa mazza di legno: 16 in totale per incrocio. A fianco ci sono i blindati delle squadre speciali: vestiti in nero, mitra, giacchetto antiproiettile, casco, walkie talkie e occhiali da sole.

urumqi

Arrivati in hotel verso le 5 del mattino decidiamo per una breve doccia e subito cominciamo a gironzolare per la città. La Piazza del Popolo è chiusa, militarizzata con blindati e anche una specie di piccoli carri armati. Lungo le strade della città gruppi di 20-30 soldati, con alcuni appartenenti alle forze speciali, pattugliano le strade segnando il passo che rimbomba nelle strade semi vuote della prima mattinata. Dopo una visita al museo provinciale, andiamo al quartiere mussulmano che si trova nel centro della città, dove c’è anche il grande bazaar. Sono circondati! Le stade che entrano nel quartiere uiguro della città sono tutte sorvegliate, e barriere di metallo mobili con punte e filo spinato servono a chuderle se dovesse succedere ancora qualcosa: la divisione etnica si respira nell’aria. Le case sono basse, molte sono fatiscenti, le strade sono strette: è sporco e pieno di gente, bancarelle, negozietti. Tutto intorno i grattacieli del veloce sviluppo cinese soffocano gli edifici e non passerà molto tempo prima che anche le case uigure verranno demolite per lasciare il posto a moderni edifici pieni di uffici, centri commerciali, locali alla moda; a Kashgar, la storica cittadina sulla Via della Seta ai piede del Pamir, sta già succedendo.  Non ci fanno entrare, il bazar sta chiudendo! Qualche giorno prima in televisione, sulla CCTV9 il canale in lingua inglese della tv di stato, avevamo sentito la notizia, data chiaramente con enfasi propagandistica, che a causa dei disordini che avevano provocato un rallentamento negli affari della città, eccezionalmente il bazaar sarebbe rimasto aperto fino a notte fonda. Non è vero! Delusi ci sediamo ad un tavolino fuori da una gelateria dove gustiamo un gelato delizioso fatto in casa. Gironzoliamo nella zona della moschea, dove sembra tutto sia cominciato; negozi cinesi con commessi e clienti cinesi, negozi uiguri con commessi e clienti uiguri: un’apparente calma segregazione razziale voluta da entrambe le etnie. Il giorno dopo, prima di lasciare lo Xinjiang, andiamo a visitare il Tian Chi, il Lago del Cielo a un centinaio di km da Urumqi. Il luogo è molto turistico, ma il paesaggio è incantevole, alpino: aquile svolazzano e boschi ricoprono le montagne che arrivano fino a 5445 metri di altezza con il Picco di Dio, cascate partoriscono arcobaleni. Prendiamo la seggiovia che ci porta su e improvvisamente musica tecno si diffonde in tutta la montagna; sono pazzi questi cinesi! Lungo tutto il perimetro del lago altoparlanti a forma di tronchetti d’albero diffondono musica  a tutto volume: James Brown, pop inglese anni ’80 e ’90, e altro ancora. Sul lago enormi barche a forma di dragone suonano sirene che andrebbero bene su petroliere. Pazzi! Mi arrabbio un poco e quando scendiamo cerco un responsabile. Evidentemente faccio paura, forse pensano a un terrorista, ma l’impiegato intimorito chiama la sicurezza. Cerco di spiegare che la gente che viene in questi posti cerca la natura, cerca i cinguettii degli uccelli, il rumore dell’acqua e del vento, gli insetti che ronzano. Niente da fare mi guardano con un sorriso ma lo vedo, capisco che non capiscono quello che voglio dire: per loro è normale così. Li mandiamo sottilmente a quel paese, non è la prima volta che viaggiando per la Cina incontriamo situazioni del genere e loro non riescono ancora a capirlo, pensano che così sia più bello.

Di nuovo sulla strada: destinazione aeroporto. Si torna a lavorare.

Volevo solo raccontare un viaggio fatto sulle tracce della seta.

Lentamente questa via di comunicazione, anzi queste vie di comunicazione, riaprirà attraverso il mega-continente eurasiatico. Sono già stati siglati accordi con la Turchia e con alcuni dei paesi dell’Asia Centrale (credo, tra le ultime frontiere ancora da esplorare), ma la seta, quel filo sottile, magico, luminoso, resistente, vitale, non c’è più. Al suo posto cominciano a dispiegarsi fili grossi, brutti, sporchi,  opachi, mortali: gli oleodotti.

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