della Seta...3
Alla stazione dei treni della cittadina vicino a Turpan ci aspettavamo la polizia o l’esercito che controllasse chi entrava via terra nello Xinjiang, e invece niente! Prendiamo un taxi abusivo insieme ad altre 2 persone e ci dirigiamo verso Turpan, a circa 30 km. Prendiamo l’autostrada e quando siamo al casello per uscire vediamo il posto di blocco: polizia e soldati, la squadra speciale con giubbotti antiproiettili e chiaramente armati di mitra e pistole. Fermano la macchina, usciamo e andiamo a registrare i passaporti; la prima domanda che ci chiedono è se siamo giornalisti: ”No! Siamo turisti”. Questa dei posti di blocco sarà una costante per tutto il viaggio: su tutte le strade in uscita ed entrata di tutte le città dello Xinjiang che visiteremo ogni volta ci fermeranno per registrare i nostri passaporti, chiederci da dove veniamo e dove andremo. Dopo avere visitato le antiche città sulla Via della Seta, il minareto di Emin, i Karez (canali scavati sottoterra che dalle montagne portano l’acqua all’oasi) che servono ancora alle vigne della città (in tutta la Cina è famosissima l’uva di questa regione) decidiamo di andare a visitare un villaggio Uiguro nelle vicinanze, dove ci sono antiche grotte buddiste, purtroppo chiuse a causa dei furti degli esploratori stranieri, avvenuti a fine ‘ 800 e nei primi del ‘900 (Peter Hopkirk: Diavoli stranieri sulla Via della Seta, Adelphi; da non perdere dello stesso autore è anche Il Grande Gioco), e in parte a causa della furia iconoclasta mussulmana. Il villaggio è deserto, pieno di vigne, le case sono di pietra e fango, mattoni e piastrelle, nei vicoli non si vede quasi nessuno. Dopo aver girovagato per la cittadina incontriamo un gruppo di persone sotto una tettoia. Il sole scotta, ci fermiamo a bere e chiacchieriamo un po’ di tutto: della Cina, del mondo, di donne, di tempo, soldi, bisogni, sogni; siamo simpatici noi esseri umani! Sulle strade dello Xinjiang non ci sono turisti cinesi (impauriti dalle notizie dei moti di 2 settimane prima), e i turisti stranieri incontrati sono pochi (solo 2 giapponesi, delle ragazze nord europee, e una carovana di 3 camper di pensionati francesi che hanno attraversato tutto il continente euroasiatico fino alla Cina). Turpan è uno dei luoghi più caldi e più lontani dal mare al mondo, la temparatura sfiora i 45 gradi. Vicino la depressione a 154 metri sotto il livello del mare amplifica il calore del sole. Dopo 2 giorni partiamo, andiamo a Korla e da lì, con una jeep in affitto, verso le steppe di Bayan Bulak, altopiano quasi al centro delle Tianshan (Le montagne Divine) abitato dai mongoli. La storia di questo clan mongolo, chiamato Turgut, è interessante (http://www.chinese-forums.com/showthread.php?t=889 ). Sono i discendenti dei clan che accompagnarono Genghis Khan alla conquista della Russia. Rimasero nelle regioni russe per 500 anni per poi essere cacciati dalle truppe zariste. Partirono circa un milione di persone, scappando dai soldati russi che li inseguivano. Ci occorse circa un anno e finalmente riuscirono a rifugiarsi nello Xinjiang in circa 700mila (c’è chi dice 500mila) e sentirsi raccontare questa storia sconosciuta dal nostro autista mongolo, in mezzo alle steppe dell’altopiano, fa un certo effetto, specialmente se nel retro della jeep c’è una pecora beelante consapevole di diventare la nostra cena (la marmitta mongola, piatto nazionale, è montone bollito, senza spezie o altro se non sale, della quale si mangia tutto, compreso il midollo che si succhia dopo aver spezzato le ossa). Siamo in casa di un amico, niente elettricità, candele, pentola che bolle, fumo, alcool, coltelli che segano le ossa dell’ovino; non posso non pensare agli antenati di questo popolo, e guardandoli mangiare capisco perché hanno conquistato il più grande impero del mondo, un attimo la luce delle candele illumina un pensiero semplice ma potente: la grande muraglia, il massiccio simbolo della paura, del terrore della civiltà cinese, non ha potuto fermarli, non ha potuto fermare masse enormi in movimento, non ha potuto fermare la primordiale necessità dell’uomo di non avere fontiere, di non avere porte e mura. Il governo sta cercando di sviluppare turisticamente Bayan Bulak che è ancora un posto di frontiera, dove si sono spinti mussulmani, cinesi, kazaki. Donne con il burqa, pastori a cavallo, camionisti. Quasi tutti gli uomini hanno un coltello, perché è utile e perché...non si sa mai. Dormiamo nelle Gher, le tende dei nomadi pastori, e il giorno dopo partiamo di buon ora. Il nostro autista non ha controllato la jeep e dopo alcune decine di km ci accorgiamo che la ruota posteriore destra sta per saltare e sulle strade sterrate delle steppe rischiamo molto. Si decide di tornare indietro a cercare un meccanico. Dopo poco in mezzo alla strada ci troviamo di fronte una pecora ferma, rigida, sporca, visibilmente malata, quasi moribonda. Il nostro autista ferma la macchina, con sua moglie e il suo amico (sono venuti con noi in questo viaggio, naturalmente senza farlo sapere ai suoi datori di lavoro) la afferrano e cercano di montarla nel bagagliaio; io e Luke ci incazziamo: non siamo sicuri quanto tempo impiegheremo ad aggiustare la macchina, se riusciremo a prendere il treno la sera per Urumqi. A malincuore la lasciano lì, ma suggeriamo di telefonare ad un amico che può venire a prenderla. Si rilassano e chiamano un amico; tutto a posto, possiamo cercare il meccanico. Mentre controllo il lavoro alla jeep Luke si allontana. Dopo 1 ora torna su una macchina della polizia: è stato beccato, non ci siamo registrati. Dove abbiamo dormito, chi siamo, con chi siamo? Domande e poi ci portano alla stazione di polizia dove aspettiamo parecchio tempo perché non hanno la fotocopiatrice e non c’è elettricità in tutto il villaggio. Fortunatamente abbiamo fotocopie dei nostri passaporti, gliele lasciamo e siamo liberi. La macchina è pronta, si parte veloci. Superiamo il posto di blocco già incontrato all’andata e arriviamo a Korla a mezzanotte giusto in tempo per prendere la corriera con i letti. La corriera prende l’autostrada e dopo qualche km esce e si ferma, aspetta. Un camion arriva e caricano sulla nostra corriera degli scatoloni: droga, abbigliamento pirata, dvd, chissa cosa hanno caricato? In fondo questa è la Via della Seta e i commerci di ogni genere continuano da migliaia di anni. La corriera riparte e prende le strade di campagna, si sballonzola per un po’ su strade asfaltate, poi in mezzo al nulla si fermano, scaricano e caricano tutto su un altro camion. Torniamo sull’autostrada, direzione Urumqi.