La Via della Seta...1
La Via della Seta...1
3 settimane sulla strada, direzione Provincia del Gansu e dello Xinjiang, a 1 settimana di distanza dai moti di Urumqi, capoluogo dell’estremo, grande nord-ovest cinese, con Luke siamo partiti in treno da Beijing per la nostra prima tappa del viaggio sulla Via della Seta: Xi ‘An nella Provincia dello Shaanxi.
L’antica capitale sventrata e diventata come molte città cinesi un immenso cantiere per case, linee della metropolitana, centri commerciali, strade, tubature, cablature...ci accoglie calda, accogliente, umida. 3 luoghi da vedere prima di lasciarla dopo 2 notti: Bingmayong (l’Esercito di Terracotta), Hanyangling (Il museo del mausoleo dell’imperatore Liu Qi della Dinastia Han, seguace del Wu Wei Taoista), Daqingzhensi (la Grande Moschea) e il quartiere mussulmano che la circonda. Cerchiamo la contaminazione, il ricordo di mercanti, monaci, religioni, commerci da ogni parte del mondo. Fumi di incenso acceso, carni alla brace, botteghe e negozi, visi e razze ci fanno sognare vagamente di quello che era Chang’an il punto di arrivo principale della Via della Seta che cominciava, ad Occidente, dall’Impero Romano (il Da Qin per i cinesi, noto anche come Lijian). E’ più giusto dire che era uno dei gangli fondamentali di quello che era, per oltre 2mila anni, un reticolo di strade che prendevano il nome delle merci più preziose: la seta, la giada, il tè. Strade che attraversavano tutto l’impero cinese e si collegavano a tutti gli altri paesi dell’Asia. E tutti vivevano in questo enorme Melting Pot di Buddismo, Zoroastrismo, Induismo, Taoismo, commerci e ambascierie, arte e arti, spezie e droghe. Siamo fortunati, quando andiamo a comprare i biglietti alla stazione non c’è molta fila e ce la caviamo con 1 ora (se provate a fare la fila durante le feste, come la Festa di Primavera che per tradizione si passa in famiglia, è meglio portarsi da mangiare e da sedersi).
Continuiamo il viaggio, prossima tappa Tianshui, prima tappa nella Provincia del Gansu e importante altro nodo della Via della Seta. E’ il punto di partenza da cui ci si infila nel corridoi dello Hexi, quel lembo di terra che arriva fino allo Xinjiang e che passa nell’unico pezzo di terra percorribile tra il deserto del Gobi a nord-est e gli altipiani del Qinghai e del deserto del Taklamakan a ovest-nord-ovest. Piove e fa fresco, prendiamo una stanza nell’albergo di fianco alla stazione. L’ultimo piano dell’hotel è stato trasformato in una sede per le università di varie provincie a caccia di studenti. Ogni stanza è ufficio e camera da letto contemporaneamente. Andiamo in centro città dopo aver mangiato. Di fianco ad un palazzo in costruzione sorge una vecchia moschea. Mussulmani di diverse etnie ci accolgono con un sorriso. Non entriamo ma rimaniamo fuori sotto una tettoia di legno mentre la pioggia cade, cercando di tradurre l’avviso affisso alla lavagna nera che parla dei fatti del 7 luglio. Cantano, cantano il Corano e mi ricordano i canti tibetani, anche se forse sono io a cercare l’assonanza, eppure... Il rumore del martello pneumatico e del cantiere che ovatta la litania dei canti, insieme al ticchettio della pioggia sul legno e sui tetti, è ipnotico. Ipnotizzati cantiamo, per scacciare le nostre paure dell’Islam: Luke da ebreo, io semplicemente perché pieno di pregiudizi nei confronti di una civiltà che fondava università in giro per il mondo, che era laica e all’avanguardia nelle scienze e nella filosofia, e che ha vissuto un’involuzione tragica a causa di forze oscurantiste e retrograde rinforzatesi dal radicalizzarsi dello scontro di civiltà tra Islam e Cristianesimo.
Maijisham sono le grotte che visitiamo il giorno dopo. Affreschi, sculture, accenni induisti che troveremo come costante in questo viaggio. Le campagne sono ricche, è coltivato un po’ di tutto e i contadini hanno trasformato le loro case in ristoranti e alloggi. Sapori così non li gustavamo da tanto, abituati alla cucina cittadina e alla velocità dei ristoranti delle grandi città, qui abbiamo tempo di passeggiare ai bordi di un laghetto, in mezzo all’orto da dove vengono raccolte le verdure che mangeremo dopo, nella campagna tra le colline coperte di boschi; pasta fatta in casa e tirata sul momento, cani che giocano e il bagno in un ripostiglio una volta forse porcile, o forse lo è ancora.
Il treno parte in ritardo, destinazione Lanzhou capoluogho del Gansu. Se esci dai soliti tragitti ferroviari, la puntualità cinese delle ferrovie torna alla inevitabile dilatazione temporale asiatica (e quella italiana si può definire asiatica?). Come è asiatica anche il sapere aspettare 4 ore fermi per un guasto della linea elettrica: si mangia (provate a prendere un treno periferico in Cina, è meraviglioso! Strati di tutto!), si legge, si dorme, si gioca a carte, si chiacchiera, parliamo con la gente e con i bambini eccitati che ti raccontano del film Transformer. Lanzhou è una delle città più inquinate al mondo, siamo un po’ preoccupati, ma dopo anni di vita a Beijing pensiamo che in fondo siamo già un poco mutati a livello cellulare, e rimaniamo solo una notte per vedere il museo provinciale , uno dei più importanti della Cina con reperti di tutte le civiltà che mercanteggiavano sulla Via della Seta.
L’antica capitale sventrata e diventata come molte città cinesi un immenso cantiere per case, linee della metropolitana, centri commerciali, strade, tubature, cablature...ci accoglie calda, accogliente, umida. 3 luoghi da vedere prima di lasciarla dopo 2 notti: Bingmayong (l’Esercito di Terracotta), Hanyangling (Il museo del mausoleo dell’imperatore Liu Qi della Dinastia Han, seguace del Wu Wei Taoista), Daqingzhensi (la Grande Moschea) e il quartiere mussulmano che la circonda. Cerchiamo la contaminazione, il ricordo di mercanti, monaci, religioni, commerci da ogni parte del mondo. Fumi di incenso acceso, carni alla brace, botteghe e negozi, visi e razze ci fanno sognare vagamente di quello che era Chang’an il punto di arrivo principale della Via della Seta che cominciava, ad Occidente, dall’Impero Romano (il Da Qin per i cinesi, noto anche come Lijian). E’ più giusto dire che era uno dei gangli fondamentali di quello che era, per oltre 2mila anni, un reticolo di strade che prendevano il nome delle merci più preziose: la seta, la giada, il tè. Strade che attraversavano tutto l’impero cinese e si collegavano a tutti gli altri paesi dell’Asia. E tutti vivevano in questo enorme Melting Pot di Buddismo, Zoroastrismo, Induismo, Taoismo, commerci e ambascierie, arte e arti, spezie e droghe. Siamo fortunati, quando andiamo a comprare i biglietti alla stazione non c’è molta fila e ce la caviamo con 1 ora (se provate a fare la fila durante le feste, come la Festa di Primavera che per tradizione si passa in famiglia, è meglio portarsi da mangiare e da sedersi).
Continuiamo il viaggio, prossima tappa Tianshui, prima tappa nella Provincia del Gansu e importante altro nodo della Via della Seta. E’ il punto di partenza da cui ci si infila nel corridoi dello Hexi, quel lembo di terra che arriva fino allo Xinjiang e che passa nell’unico pezzo di terra percorribile tra il deserto del Gobi a nord-est e gli altipiani del Qinghai e del deserto del Taklamakan a ovest-nord-ovest. Piove e fa fresco, prendiamo una stanza nell’albergo di fianco alla stazione. L’ultimo piano dell’hotel è stato trasformato in una sede per le università di varie provincie a caccia di studenti. Ogni stanza è ufficio e camera da letto contemporaneamente. Andiamo in centro città dopo aver mangiato. Di fianco ad un palazzo in costruzione sorge una vecchia moschea. Mussulmani di diverse etnie ci accolgono con un sorriso. Non entriamo ma rimaniamo fuori sotto una tettoia di legno mentre la pioggia cade, cercando di tradurre l’avviso affisso alla lavagna nera che parla dei fatti del 7 luglio. Cantano, cantano il Corano e mi ricordano i canti tibetani, anche se forse sono io a cercare l’assonanza, eppure... Il rumore del martello pneumatico e del cantiere che ovatta la litania dei canti, insieme al ticchettio della pioggia sul legno e sui tetti, è ipnotico. Ipnotizzati cantiamo, per scacciare le nostre paure dell’Islam: Luke da ebreo, io semplicemente perché pieno di pregiudizi nei confronti di una civiltà che fondava università in giro per il mondo, che era laica e all’avanguardia nelle scienze e nella filosofia, e che ha vissuto un’involuzione tragica a causa di forze oscurantiste e retrograde rinforzatesi dal radicalizzarsi dello scontro di civiltà tra Islam e Cristianesimo.
Maijisham sono le grotte che visitiamo il giorno dopo. Affreschi, sculture, accenni induisti che troveremo come costante in questo viaggio. Le campagne sono ricche, è coltivato un po’ di tutto e i contadini hanno trasformato le loro case in ristoranti e alloggi. Sapori così non li gustavamo da tanto, abituati alla cucina cittadina e alla velocità dei ristoranti delle grandi città, qui abbiamo tempo di passeggiare ai bordi di un laghetto, in mezzo all’orto da dove vengono raccolte le verdure che mangeremo dopo, nella campagna tra le colline coperte di boschi; pasta fatta in casa e tirata sul momento, cani che giocano e il bagno in un ripostiglio una volta forse porcile, o forse lo è ancora.
Il treno parte in ritardo, destinazione Lanzhou capoluogho del Gansu. Se esci dai soliti tragitti ferroviari, la puntualità cinese delle ferrovie torna alla inevitabile dilatazione temporale asiatica (e quella italiana si può definire asiatica?). Come è asiatica anche il sapere aspettare 4 ore fermi per un guasto della linea elettrica: si mangia (provate a prendere un treno periferico in Cina, è meraviglioso! Strati di tutto!), si legge, si dorme, si gioca a carte, si chiacchiera, parliamo con la gente e con i bambini eccitati che ti raccontano del film Transformer. Lanzhou è una delle città più inquinate al mondo, siamo un po’ preoccupati, ma dopo anni di vita a Beijing pensiamo che in fondo siamo già un poco mutati a livello cellulare, e rimaniamo solo una notte per vedere il museo provinciale , uno dei più importanti della Cina con reperti di tutte le civiltà che mercanteggiavano sulla Via della Seta.